Il piano di assetto territoriale, di cui la prima parte è stata presentata di recente in commissione urbanistica, prevede una Padova di 240.000 abitanti nei prossimi vent’anni. Questa crescita è imputata soprattutto agli immigrati ed ai loro ricongiungimenti familiari e richiederà, a detta del prof. Luigi Mariani, assessore all’urbanistica, nuovi insediamenti a scapito di qualche area agricola. Ammesso e non concesso che la richiesta abitativa sia in questi termini, visto che la popolazione di Padova -censita nel 2007 in 210.173 abitanti- è diminuita negli ultimi tre anni di più di 800 unità, va detto che il piano regolatore vigente prevede già una capacità insediativa di più di 30.000 abitanti.
Facciamo qualche conto: da uno studio sullo stock edilizio di Padova, commissionato dal comune agli ingegneri Marella e Candido, risultano inutilizzate 5575 abitazioni che possono da sole soddisfare l’insediamento di più di 11.000 abitanti; la capacità residua del vecchio piano regolatore (quello antecedente alla variante approvata nel 2006) può essere stimata in altri 5/6000 abitanti (solo gli interventi previsti a Pontevigodarzere, a S.Lazzaro e nell’area del PP1 ne garantiscono almeno 2700); le aree di perequazione introdotte dalla variante al piano regolatore prevedono più di 1.200.000 metri cubi, che sommati agli 800.000 previsti dalla concessione dei crediti edilizi necessari a garantire le aree da destinare a servizi pubblici, assicurano ulteriori 13.700 abitanti. Da questi dati, che sono stati ricavati da fonti non ufficiali e che meriterebbero quindi di essere confermati da analisi rigorose da parte degli uffici competenti, la capacità insediativa è già ora superiore ai 30.000 abitanti necessari per soddisfare le previsioni di crescita della città nei prossimi venti anni. Non sono quindi necessari nuovi insediamenti per raggiungere gli obiettivi del PAT.
Il problema è che la capacità insediativa su accennata deriva da edilizia residenziale privata, che non è in grado di soddisfare la domanda abitativa dei nuovi abitanti che, per la maggior parte, non saranno in grado di sopportarne i costi. Il risultato sarà una edilizia di tipo prevalentemente speculativo che non richiamerà gli abitanti previsti, i quali continueranno ad insediarsi preferibilmente nei comuni della cintura urbana. Per scongiurare questo esito il comune ha pensato di prevedere dei piani di edilizia pubblica convenzionata e sovvenzionata, che saranno previsti, ovviamente, nelle aree verdi della perequazione e nelle aree agricole.
Si otterrà così un sovradimensionamento del piano regolatore, che consentirà molta più edilizia residenziale (di tipo privato) di quella realmente necessaria per garantire l’aumento di popolazione stimato e che comporterà un ulteriore inutile consumo di territorio. Ci sono soluzioni diverse? Sì se l’amministrazione comunale avrà coraggio e buon senso. La prima e più logica soluzione è quella di trattare il problema insediativo a livello di città metropolitana, individuando le aree dove prevedere i nuovi insediamenti, sulla base dello sviluppo dalla rete dei trasporti pubblici, compensando oneri e benefici tra tutti i comuni. Una seconda soluzione potrebbe essere quella di prevedere che l’edilizia realizzabile nelle aree soggette a perequazione ed a compensazione sia destinata in parte ad edilizia di tipo pubblico, eventualmente aumentando gli indici volumet rici per non penalizzare economicamente i proprietari delle aree, incentivando nel contempo la soluzione della perequazione ad arcipelago. Si potrebbe in tal modo, senza ledere i diritti acquisiti dai proprietari, garantire la percentuale di edilizia pubblica necessaria all’insediamento dei ceti meno abbienti e trasferire l’edificazione nelle aree dove è più logico che si costruisca, salvaguardando al massimo le esistenti aree verdi di interesse collettivo.
Lorenzo Cabrelle – direttivo Legambiente