Cernobyl vent’anni dopo

Il viaggio di Legambiente è stata anche l’occasione per incontrare gli ex-liquidatori, che nel 1986 hanno prestato servizio subito dopo l’esplosione. Verificare i progetti messi in campo per la sostituzione del vecchio e decadente sarcofago insieme agli scienziati degli istituti ucraini di Geochimica dell’ambiente e di Scienza della terra. Incontrare la popolazione tornata nelle proprie abitazioni nonostante i livelli di contaminazione siano ancora alti.
“La situazione, nel suo complesso, è allarmante. – denuncia Angelo Gentili, responsabile del ‘Progetto Cernobyl’ di Legambiente – A cominciare dalla struttura che copre il reattore: una bomba ad orologeria. I danni riportati dal sarcofago, a causa di venti anni di usura, sono sempre maggiori. Così come è inspiegabile il silenzio e l’impasse della comunità internazionale. Le popolazioni sono abbandonate a se stesse e non è sufficiente il lavoro di cooperazione che centinaia di associazioni e ong, come la nostra, portano avanti da anni”.
Per la prima volta è stata rilevata un’altissima concentrazione di plutonio, presente in un valore di 100.000 curie per ettaro. Un’enormità se si considera che il limite di sicurezza è attestato intorno allo 0,1 curie per ettaro. Altamente diffuso nei 900 km quadrati dell’area chiusa, la presenza del metallo radioattivo è fino a un milione di volte superiore alla soglia di tollerabilità. Un elemento che in conseguenza al suo decadimento si trasforma in americio (Am), fortemente tossico e ancora più pericoloso perché solubile. Questa alta concentrazione, secondo le previsioni degli scienziati, impedirebbe l’utilizzo del suolo per altri 200mila anni.
A preoccupare sono anche il Cesio 137 e lo Stronzio. Il primo, secondo le analisi rese note dal governo ucraino, sembrerebbe arrivato a una profondità nel terreno di 30 metri. Ma i due scienziati incontrati da Legambiente lo hanno rilevato a 80 metri di profondità durante gli scavi per la metropolitana di Kiev. Responsabile sarebbe la morfologia del terreno ucraino, volgarmente definito “grasso”, che contrariamente a quello argilloso non trattiene le particelle, favorendo l’inquinamento dell’ecosistema. Per quanto riguarda invece lo stronzio, che può provocare gravi danni alle ossa (incluso il cancro), si stima un periodo di decontaminazione del suolo di 150 anni. Questo metallo è inoltre facilmente trasportabile dalle acque. Per questi motivi Legambiente continua a effettuare monitoraggi con l’apporto di enti scientifici italiani.