Chi gestisce la perequazione?

Sull’argomento è già intervenuto il presidente di Legambiente Sergio Lironi in un recente articolo, pubblicato su Ecopolis, nel quale venivano fatte alcune stringenti considerazioni, che la comunicazione del comune ignora completamente.
È utile che queste considerazioni, che riassumono le osservazioni di due dei più apprezzati relatori del convegno, i professori Carlo Alberto Barbieri del Politecnico di Torino e Andreas Kipar dell’Università di Genova, vengano sinteticamente ribadite. In sostanza, pur dando atto che la perequazione è sicuramente uno degli strumenti della pianificazione urbanistica in grado di risolvere l’esigenza del reperimento delle aree da destinare agli standard pubblici, superando il problema della decadenza dei vincoli, si osservava che la semplice applicazione della perequazione, in assenza di un progetto di sviluppo equilibrato della città, in cui il comune sia attore e non semplice certificatore dell’iniziativa privata, non garantisce la qualità del disegno urbano, che deve essere il fine ultimo di una saggia e lungimirante gestione del territorio.
Questo progetto è assente nella visione strategica dello sviluppo di Padova. Ben poteva il comune, tenendo fede agli impegni assunti nel programma elettorale, revocare la variante ai servizi e rimandare ogni decisione relativa agli standard agli esiti del Piano di Assetto del Territorio, prescritto dalla nuova legge urbanistica regionale. In questo modo il sistema perequativo avrebbe potuto essere calato in un disegno organico della città futura e costituire uno dei motori per la sua attuazione. Questa scelta, però, il comune non l’ha saputa o, forse, voluta fare. Sul punto sarebbe gradita una risposta. Forse il motivo è che, di fatto, questa amministrazione non ha mai creduto nel PAT, e lo sta vivendo come un adempimento imposto dalla legge, invece che come una grande opportunità per disegnare, attraverso il processo partecipativo, la Padova futura quale baricentro ordinatore della città metropolitana.
La scelta fatta dall’amministrazione di assoggettare a perequazione la quasi totalità delle aree previste a standard, senza avere a monte un disegno di città, porta alla conseguenza di avere sì il vantaggio del reperimento gratuito di ampie aree, ma a costi assai elevati per quanto riguarda la qualità del disegno urbano.
Si è, infatti, rinunciato ad avere nell’area del Basso Isonzo un vero e proprio parco urbano, quale merita una città di oltre 200.000 abitanti, accontentandosi di un parco di quartiere spezzettato da insediamenti edilizi. Ma quel che è peggio è che questa amministrazione, consentendo la edificazione di più di 1.200.000 metri cubi all’interno delle residue aree verdi, a cui si aggiungeranno forse ulteriori 800.000 mc derivanti dalla compensazione edilizia, ha, di fatto, scelto di sviluppare il sistema insediativo della città, non dove logicamente sarebbe più opportuno sulla base dell’esistenza delle opere di urbanizzazione e dove si manifesta l’esigenza di uno sviluppo residenziale (S.Lazzaro e Granze, per fare un esempio) ma, guarda caso, all’interno di aree già sottoposte a vincolo, che costituiscono, nella stragrande maggioranza, i polmoni verdi che finora sono stati preservati a beneficio della città densamente abitata. Vi è, inoltre, l’aggravante che i nuovi insediamenti, indotti dalla perequazione, verranno realizzati in ambiti dove le infrastrutture viarie sono insufficienti e difficilmente adeguabili alle nuove esigenze. È il caso dell’area di perequazione di via Canestrini, dove sulla strada esistente, che mal sopporta l’attuale volume di traffico e la cui sezione non può essere allargata, verrà scaricato il traffico indotto dai circa 650 nuovi abitanti che si insedieranno a seguito dell’intervento di edilizia pubblica, in fase di ultimazione, e dei volumi derivanti dalla perequazione.
Si può ancora fare qualcosa per evitare o mitigare gli effetti negativi testé illustrati?
Alcune relazioni udite al convegno danno degli spunti da prendere in considerazione. Si può, ad esempio, pensare alla perequazione ad arcipelago, dove il volume, riconosciuto dalla variante in cambio delle aree a standard, viene concentrato in ambiti esterni alle aree di perequazione considerate meritevoli di essere conservate nella loro integrità. Oppure convertire il diritto edificatorio in credito edilizio, da godere in aree che il comune mette a disposizione, anche individuandole in ambiti privati. Si può, a tal fine, seguire l’esempio di Roma che ha individuato in zone esterne alla città consolidata i siti dove fare atterrare i crediti edilizi, pubblicando un bando per la messa a disposizione, da parte dei proprietari privati, delle aree necessarie per l’atterramento dei crediti, riconoscendo agli stessi proprietari un certo diritto edificatorio.
Sicuramente altri esempi possono essere desunti dalle esperienze fatte da altri comuni che hanno già applicato con successo il sistema perequativo, purché vi sia la volontà politica di rimettere in discussione le scelte già fatte. Se così non sarà, l’amministrazione comunale certificherà la sua abdicazione dalla gestione della trasformazione del territorio. Si rimetterà, cioè, supinamente all’iniziativa dei privati, con buona pace della qualità del disegno urbano, che certamente non potrà essere conseguita in assenza di un’attenta regia dell’ente pubblico.

Lorenzo Cabrelle, Legambiente Padova