La politica è fatta di enunciati (programmi di governo, discorsi congressuali, dichiarazioni pubbliche) e di prassi amministrative (leggi, decreti, circolari). Il governatore Galan ha spesso dichiarato la necessità di costruire un “Terzo Veneto”, dopo quello dei “pionieri” e quello dello sviluppo maturo. Il cosiddetto “Terzo Veneto” dovrebbe caratterizzarsi da delle discontinuità rispetto allo sviluppo fin qui seguito e infatti, nel campo delle politiche territoriali ed ambientali, il Piano Regionale di Sviluppo afferma: “Per quanto riguarda il territorio, la sua rigenerazione passa per un processo di razionalizzazione degli insediamenti attuali che, contrastando il disordine oggi prevalente, consenta di recuperare il senso del vivere e dell’abitare in un contesto territoriale che corrisponde ad un disegno, ad un progetto e ad un significato, invece di essere, come spesso è, frutto di un assemblaggio casuale”. Insomma, la retorica politica sembra suggerirci la necessità, e la volontà, di girare finalmente pagina dopo la crescita dissennata degli ultimi decenni; dopo il Veneto delle villette e dei capannoni, Galan sembra prometterci il Veneto della qualità territoriale.
La prassi amministrativa ci suggerisce tutt’altro intendimento. La giunta regionale ha promosso, nell’agosto di quest’anno, un progetto di modifica della nuova legge urbanistica di legge che intende “ovviare alla eccessiva rigidità delle norme transitorie della legge”. Le norme in questione prescrivono il divieto di adozione di varianti urbanistiche, “salvo quelle finalizzate alla realizzazione di opere pubbliche e di impianti di interesse pubblico”, fino all’approvazione dei nuovi strumenti urbanistici (PAT) da parte dei comuni. La proposta di revisione legislativa, una volta approvata,permetterebbe l’adozione di alcune tipologie di varianti urbanistiche, anche in assenza del nuovo quadro pianificatorio generale. In particolare si fa riferimento alle varianti volte “al potenziamento del sistema produttivo (fino al 100% della superficie coperta ndr), o alla riqualificazione urbanistico o ambientale e all’adeguamento agli strumenti di pianificazione territoriale”.
In sostanza viene concesso ai comuni la possibilità di contrattare – da una posizione di estrema debolezza data la situazione finanziaria in cui versano gli enti locali e in assenza del nuovo quadro normativo di riferimento – con i privati espansioni, lottizzazioni e nuove pianificazioni, rispondendo così all’ “appello rivolto all’Amministrazione regionale da numerose amministrazioni comunali e dalle categorie professionali del settore (sic!), di rendere più flessibile la disciplina transitoria”.Quello che fino ad oggi era eccezionale deroga diverrà, trionfalmente, regola.
Di fronte allo scempio che si prospetta rimane un mistero come questa deregulation possa favorire “un processo di razionalizzazione degli insediamenti attuali che, contrastando il disordine oggi prevalente, consenta di recuperare il senso del vivere e dell’abitare” come solennemente dichiarato dal Piano Regionale di Sviluppo.
Ma una cosa sono le retoriche, altra la prassi amministrativa che, pronta a rispondere “agli appelli delle categorie professionali”, rinnova la sua attenzione per i privati affari e la sua latitanza nella difesa dei pubblici beni.
Il Veneto della qualità territoriale può attendere.
Gianni Belloni www.contradeavenire.org