Un altro modello infrastrutturale per il Veneto

Non è la prima volta che le scrivo nella mia qualità di presidente dell’Associazione di cui sopra e non avendo mai avuto una sua replica, non mi permetto trarre conclusioni e per questo torno a riferirle le nostre ragioni, che oggi trovano maggior consistenza proprio per il fatto che un’alluvione di grande, ma non eccezionale, portata ci sia già stata l’anno scorso.

A leggere i suoi articoli pare non esistano altre opzioni infrastrutturali in Veneto se non quelle autostradali e l’Alta Velocità ferroviaria. Mi permetta di dissentire e di offrirle un’altra ricostruzione dei fatti.

Alta velocità: non convincono gli slogan tanti illustri personaggi confindustriali a favore della TAV in Veneto, sia in direzione di Verona come verso Trieste.

Secondo RFI non esiste un mercato passeggeri che giustifichi una TAV da Venezia verso Trieste e anche l’attuale servizio Venezia-Milano, sempre a detta di RFI, è perfettamente sufficiente alla bisogna. Qualcuno però se ne è accorto, ed ha creduto far cosa intelligente rilanciare la TAV in forma TAC (Alta Capacità). Se non esiste un mercato passeggeri, ha pensato, ci sarà pur sempre da soddisfare quello merci in direzione del Nord Europa!

A parte il fatto che un container, a differenza di un passeggero, non si lamenta se impiega qualche ora in più ad arrivare a destinazione, forse sarebbe più conveniente concentrare i nostri pochi soldi per migliorare la rete ferroviaria esistente, che al momento non regge il paragone con quelle tedesche e austriache.

Via navigabili: con interventi ad hoc il percorso fluvio-marittimo tra il Terminal off shore (TOS) davanti a Malamocco e la ferrovia del Brennero può diventare un’alternativa alla TAC tra Venezia e Verona (con 5 grandi battelli si assicurerebbe un flusso annuale di merci pari a quello di 17.000 camion sulla stesso percorso); il Corridoio 1 sarebbe quindi collegato al TOS in Adriatico e il suo costo, a parte la migliore sostenibilità ambientale e i minori tempi di realizzazione, è infinitesimo rispetto al corrispondente tratto TAV.

Anche il trasporto dei containers dal TOS fino a Monfalcone, navigando lungo costa, può essere alternativo alla parallela linea ferroviaria nel Veneto orientale. In quel porto deve arrivare il Corridoio Adriatico-Baltico. A che serve spendere un mucchio di soldi, violentare il paesaggio e le genti del Veneto orientale con una linea TAV (segmento veneto del Corridoio 5) che verrebbe presto annichilita da quella che dal porto di Fiume va verso il Danubio (Corridoio fluviale collegato al Reno) e Budapest ? Lo scenario italiano va rivisto e non assunto come se fossimo rimasti agli anni ’80, quando fu prefigurato.

Infrastrutture a terra: se poi scegliamo volontariamente di accatastare migliaia di container in arrivo dal TOS in località Dogaletto di Mira, proprio alla foce dell’idrovia Padova-Mare, senza avere altro sbocco che la camionabile e la statale Romea, allora siamo di fronte a scelte diaboliche. Agli occhi delle grandi compagnie di navigazione la soluzione Dogaletto apparirà non all’altezza della gestione di quei flussi e tanto meno in grado di potersi espandere ulteriormente senza considerare poi il fatto che Dogaletto produrrà la cannibalizzazione del 30% di quanto oggi gestisce l’Interporto di Padova.

In conclusione bisogna cominciare da un’offerta logistica integrata che unisca porti e aree interne:

– la riconfigurazione del porto di Venezia che deve arrivare a comprendere banchine fluvio-marittime a Padova e a Chioggia;

– il Fissero Tartaro Canal Bianco che deve arrivare a Isola della Scala e i battelli dal TOS poter raggiungere Monfalcone.

A mio avviso invece siamo di fronte ad un molto probabile insuccesso delle infrastrutture che ci vengono ogni giorno riproposte da chi ha invece ben altri obiettivi economici e strategici (Mi riferisco alla rendita fondiaria e alla susseguente speculazione edilizia, che poi scaricherà i suoi costi economici e sociali sulle spalle dei disattenti contribuenti veneti come avvenuto, ad esempio caso del “project financing” dell’Ospedale All’Angelo di Mestre).

Il modello di sviluppo e gli investimenti infrastrutturali che in sostanza l’attuale classe dirigente pretende, magari imponendo Commissari Governativi o project bond, parte dall’idea che a fronte di “un’offerta” si sviluppi inevitabilmente “una domanda”. Un principio che nessun amministratore delegato di un’impresa privata darebbe mai per scontato, tanto meno un suo azionista. 

Mi auguro che anche la Fondazione che lei dirige cominci a studiare lo scenario che ho prefigurato, se non altro per non adagiarsi su vecchie idee infrastrutturali, che incontreranno ostilità crescenti tra le popolazioni interessate. E non perché siano tutte irriducibilmente Nimby !

Carlo Crotti – Presidente ass.ne Salvaguardia Idraulica Territorio padovano e veneziano