Argini a rischio e politiche del territorio

Nel sito “venetoalluvionato”, promosso dal commissario per l’emergenza alluvioni nel veneto, Luca Zaia, leggiamo che negli ultimi venti anni non è mai piovuto tanto come nello scorso anno e che, in molti luoghi, le falde sono tornate in superficie facendo sì che le piogge scorrono sulle superfici agricole e vanno ad ingrossare i corsi d’acqua. Il vicecommissario Mariano Carraro, capo della protezione civile regionale, ha aggiunto che “la situazione creata dal terreno zuppo d’acqua farà sentire i suoi effetti per parecchio tempo, di certo nei mesi primaverili, mentre le vere opere di mitigazione necessarie, le vasche di laminazione, non si improvvisano in poche settimane”.

Lo stesso vicecommissario ha ancora affermato che tra una decina di giorni sarà pronto il Piano di interventi per la mitigazione del rischio, che sarà oggetto di ordinanza da parte del commissario (previo parere della corte dei conti), dopo di che si passerà alla fase operativa con la progettazione dei singoli interventi e con il reperimento dei fondi che, al momento, sono del tutto insufficienti.

Il quadro che ci viene rappresentato non è certo rassicurante. Anche perché, ancora lo scorso gennaio, l’ing. Mariano Carraio affermava che “servono cento milioni subito, oppure il Veneto non supererà la primavera”. Di questi cento milioni, il governatore Zaia ne ha erogati solo 50 e per gli altri farà pressioni a Roma. Per tranquillizzare l’opinione pubblica ha però affermato che un centinaio di cantieri saranno presto aperti, di cui 40 entro aprile. Ce lo auguriamo vivamente, anche perché le piogge primaverili incombono ed è ancora vivo il ricordo del nubifragio del 12 maggio dello scorso anno, che ha recato gravi danni alla città ed al suo comprensorio.

Ci auguriamo che tra i primi cantieri ci saranno quelli relativi al sistema arginale dei fiumi del padovano, che sono stati aggrediti dalla piena del 2 novembre e che solo in piccola parte sono stati rimarginati (vedi foto). A tal proposito va richiamata la lettera che ancora il 10 febbraio i sindaci di nove comuni dislocati lungo l’asta del Bacchiglione-Roncajette, tra cui il sindaco di Padova, hanno inviato al vicecommissario Mariano Carraio, in cui si lamentava che al genio civile di Padova è stato assegnato un finanziamento del tutto insufficiente a mettere in sicurezza gli argini. Tra gli interventi finanziati non rientrano neppure il completamento del ripristino dell’argine destro del Roncajette a Ponte San Nicolò in corrispondenza della rotta del 2 novembre scorso, né il consolidamento ed il completo ripristino funzionale dell’adiacente chiavica del Maestro.

È però l’approccio complessivo al problema che ci allarma. Per stessa ammissione del governatore, e commissario per l’emergenza alluvione, Zaia, l’avvio dei lavori è rallentato dalla burocrazia e non si sa dove reperire gli oltre due miliardi di euro (ma sarebbe meglio parlare del doppio secondo le stime dell’Unione Veneta delle Bonifiche) necessari per mettere in sicurezza dal rischio idraulico il Veneto.

Riguardo alla burocrazia, sono proprio i poteri del commissario e le procedure agevolate previste dalla legge che dovrebbero risolvere i problemi. Negli stessi procedimenti ordinari il ricorso alle conferenze dei servizi riduce ad un unico momento l’acquisizione dei pareri dei vari organismi interessati. Tanto più in un procedimento straordinario si deve ritenere che gli strumenti per abbattere i tempi burocratici esistono. Basta saperli applicare.

Per quanto riguarda i finanziamenti, è necessario che il nostro governatore decida che la scala delle priorità deve essere completamente rivista. In questo momento la priorità assoluta è la messa in sicurezza del territorio. Tutti gli interventi che non abbiano questa finalità vanno messi in secondo piano ed eventualmente rinviati, stornando i finanziamenti a loro destinati alla risoluzione dell’emergenza idrogeologica. Si eviterà così di dissipare ingenti somme per risarcire i danni derivanti da calamità che non si è stati in grado di prevenire.

Anche tutti i grandi interventi che aggravano la situazione idraulica del Veneto, aumentandone la cementificazione, e parlo dei vari “Veneto City” a Dolo, “Euroworld” nel delta del Po, la “Città dei motori” a Verona, ma anche delle infrastrutture inutili, che trovano spazio all’interno dello stesso Piano Territoriale Regionale, vanno abbandonati nell’ottica di non recare ulteriore danno all’ambiente, trovando alternative sostenibili. È quindi la politica del Territorio che va completamente rivista, passando dalle dichiarazioni di intenti ai fatti. I soldi ci sono, basta destinarli a ciò che effettivamente serve.

Lorenzo Cabrelle – Legambiente Padova