Decreti omessi nelle autorizzazioni provinciali ai cementifici

La Provincia non applica tutte le normative vigenti per il controllo delle emissioni. I cementifici, infatti, effettuano il cosiddetto recupero di rifiuti non pericolosi in procedura semplificata ai sensi del D.Lgs n. 22/97 e del D.M. 5/2/98 e la Provincia ne è ovviamente a conoscenza, tanto che con deliberazione n. 542/2006, visto il parere tecnico favorevole della Commissione Ambiente per l’adozione "di indirizzi in materia di recupero dei rifiuti in procedura semplificata secondo le disposizioni del D.Lgs n.22/97 artt. 31 e 33 e del D.M. 5/2/98", delibera di adottarli.
Il Settore Ambiente della Provincia già nel 2003 specificava ad Italcementi che l’attività poteva essere svolta per i "rifiuti del Catalogo europeo (CER 2002) ai sensi del D.M. 5/2/98". ARPAV nel gennaio 2006 in una relazione firmata dalla dott.ssa Bergoglio al Comune di Monselice e al Settore Ambiente della Provincia riteneva necessario "che vengano definiti i limiti per singoli camini, tenuto conto di quanto stabilito dal D.M. 5/2/98".
Curioso a questo punto che l’autorizzazione provinciale 12/11/2004 rilasciata a Italcementi prevedesse nelle prescrizioni, al punto 3.7, nel caso di utilizzo di rifiuti destinati al recupero la garanzia "ai camini interessati" del "rispetto dei limiti delle emissioni fissati (…) previsti dal D.M. 5/2/98", mentre nell’autorizzazione provinciale 6/3/2003 per Cementeria Radici questa prescrizione non ci sia. Eppure proprio Cementeria Radici sarà oggetto di diffida delle Provincia all’utilizzo di rifiuti nel processo produttivo.
I cementieri, però, ben conoscono la questione. Infatti, proprio Italcementi in un proprio Dossier Ambiente 2005 relativo all’attività dell’impianto di Monselice, ammette a pag.19 l’ammissibilità del D.M. ma ritenendolo applicabile solo "a polveri, metalli e limitatamente alle fasi del processo che portano alla formazione della miscela cruda". In pratica cercando di non renderlo applicabile ai punti di emissione più impattanti come i camini dei forni asserendo che, dopo la macinazione e miscelazione, le differenti materie prime non sarebbero più distinguibili. Operazione furbetta, per altro contraddetta involontariamente proprio dal Presidente provinciale Casarin che in un passaggio delle risposte alle mie interrogazioni dichiara come "le conclusioni del sopralluogo dell’ARPAV (in Cementeria Radici) portavano all’individuazione dell’utilizzo dei rifiuti nel ciclo produttivo quale causa dei valori di emissione riscontrati".
Altra curiosità è che nelle autorizzazioni successive il riferimento al D.M. 5/2/98 scompare definitivamente: Italcementi (10/6/06), Cementeria Radici (21/9/05) e Cementizillo (20/11/06).
Forse la risposta vera a queste "imenticanze" sta nelle dichiarazioni della Direzione Italcementi quando interpreta come dovrebbe essere applicato questo D.M. e nel comportamento francamente poco rigoroso che le istituzioni preposte al controllo continuano a tenere nei confronti di impianti pericolosi, inseriti in un contesto territoriale a rischio ambientale riconosciuto, le cui cause di inquinamento sono acclarate da studi e piani regionali. Si deve chiedere al Governo modifiche della normativa che rendano più rigorosi i limiti di emissione per questi impianti in ragione della loro trasformazione nel tempo in utilizzatori di grandi quantità di rifiuti (che, per altro, modificano anche la composizione del prodotto finale cemento con conseguenze troppo poco indagate sinora) ed è questa una rivendicazione da sostenere, ma le istituzioni locali – Regione, Provincia e Comune – intanto qualcosa di più del poco che stanno facendo sarebbe il caso lo mettessero in campo. Almeno appl icare tutte le normative previste in materia di emissioni nei confronti di questi impianti.

Paolo De Marchi, consigliere provinciale Verdi Padova