Esistono aziende buone e aziende cattive?

Le imprese possono e devono distinguere tra socialmente giusto e sbagliato? Sono tenute a investire seguendo un’etica? Possono essere ritenute responsabili di un investimento in un contesto moralmente ingiusto? Questi sono alcuni dei quesiti sollevati dalla discussione intitolata “Affari d’oro, affari loro” e trasmessa da Articolo 1, la web radio della CGIL, in cui sono intervenuti fra gli altri Ugo Biggeri di Banca Etica e Giulio Marcon di Sbilanciamoci.

Quello della responsabilità sociale d’impresa è un concetto che solo ultimamente ha avuto grande risonanza, in particolare grazie ai nuovi mezzi di comunicazione. I consumatori ora infatti sono più informati e più critici, e sono in grado di aggregarsi e scambiarsi informazioni più facilmente. Le imprese sono quindi “costrette” ad adottare comportamenti sempre più etici e trasparenti, per riuscire a conquistare questi nuovi consumatori.

Molto spesso, però, si tratta solamente di una mera operazione di marketing, che sponsorizza comportamenti socialmente accettabili mentre nasconde in realtà altri comportamenti non altrettanto “buoni”. Questo argomento è quanto mai d’attualità in Italia, ora che la questione Libica è sotto l’attenzione di tutti. Pochi sapevano, infatti, che il giro d’affari tra Italia e Libia vale ben 135 miliardi di dollari, e le relazioni sono quanto mai intricate. Eni, Enel, Finmeccanica, Telecom, Anas sono solo alcuni dei nomi italiani che hanno investito in Libia, una moltitudine di imprese che ruotano attorno a petrolio, energia, telecomunicazioni, armi, costruzioni, strade. I rapporti commerciali sono reciproci: molti sono gli investitori libici in Italia. Un nome per tutti, Tamoil.

E’ stato “giusto” investire in un paese sotto dittatura? E’ “giusto” investire nella rinascita democratica di un paese? Chi decide cos’è giusto e cosa no? Come si è visto e come si vede in molti ambiti, come quello dell’inquinamento ambientale e delle energie rinnovabili, molto spesso le imprese guardano più ai profitti nel breve periodo che alla bontà – per la Società nel complesso – degli investimenti, nel lungo periodo. Le aziende si sono trovate e si trovano in molti casi a “baciare la mano” (metaforicamente) ai dittatori, per fare affari.

Si vede quindi la forte necessità di regolamentare in qualche modo questi comportamenti, ma chi dovrebbe farlo, e come? Lo Stato, che molto spesso si trova ad approfittare nello stesso modo delle situazioni?

Queste sono, in breve, le problematiche affrontate nel corso del programma. Essendo datato 23 febbraio i fatti libici menzionati non sono aggiornati; ciò non intacca però la validità dei ragionamenti. Potete ascoltare l’intera registrazione cliccando qui.

Bianca Bonollo, redazione ecopolis