Eccoci in Cambogia, io e 6 viaggiatori sperimentatori. Ad attenderci all’uscita del aereoporto di Phnom Penh Oscar, il nostro contatto e referente locale. Ci aspettiamo di salire su un taxi invece ad un cenno di Oscar ecco apparire, in mezzo ai suv, due motorette con attaccato un divanetto a due ruote. Sono i tuk-tuk, mitico mezzo di trasporto cambogiano. Iniziamo la nostra rincorsa del centro cittadino in mezzo a miriadi di motorini e mezzi di trasporto i più disparati. Notiamo subito che il tasso di inquinamento è altissimo, qualcuno osa sfidarlo con un fazzoletto alla bocca, ma vanamente. Nei giorni seguenti alterneremo ai tuk tuk i mezzi più disparati: furgoncino, motocicli, bus, piccoli battelli fluviali, piroghe.
La Cambogia è un paese che ha vissuto anni di dittatura terrificante, che ha lasciato segni indelebili sulla popolazione. Molte persone non sanno luogo e data di nascita, altri, moltissimi, hanno perso durante il genocidio di Pol Pot interi nuclei famigliari. E’ difficile affrontare con loro l’argomento. I kmer rossi hanno lasciato un unico segno paradossalmente positivo, il marketing alimentato oggi dalla curiosità dei turisti nel voler visitare i luoghi del massacro.
Appena si lascia la capitale inizia la Cambogia rurale, quella che ci da più gioia e umiltà negli incontri. In missione con l’ong Cesvi e Marco, espatriato innamorato di cooperazione e vita rurale, ci inoltriamo a piedi per i villaggi e incontriamo intere famiglie con le quali discutiamo sull’utilizzo dell’acqua, delle infezioni che possono insorgere e dei possibili rimedi pratici ed economici che possono migliorare le condizioni igieniche e di salute. É un’esperienza unica condividere con loro lo sguardo curioso, cercare di scambiarci idee ed opinioni sul modo di vivere e concepire il mondo. A fine giornata avremo tutti gli occhi gonfi di emozione e poca voglia di andarcene….
Il periodo delle piogge è finito i corsi d’acqua e i fiumi sono ancora in piena, i cambogiani hanno una capacità millenaria di gestire la vita con questo elemento, così variabile ma così vitale. Interi villaggi si ergono su vere e proprie zattere di legno, la scuola, gli orti, le stalle… Una vita nomade che segue il corso delle stagioni, quando l’acqua piano piano si ritira l’intero villaggio la segue con il proprio universo di vita galleggiante. Le otto ore di battellino da Siem Rep a Battambang sono quanto di più bello ed emozionante mi sia capitato di vivere e vedere in questi anni, numerose le piroghe che si affiancavano al nostro passaggio facendo salire nuovi passeggeri che affrontavano con noi il resto del viaggio.
Ospedale di Emergency di Battambang. Il pomeriggio di visita insieme alla fisioterapista Valeria, la graduale fine dell’emergenza mine (anche se il fenomeno è ancora lungi dall’essere debellato), ora è la quotidianità dell’emergenza traumi a tenere sotto pressione i responsabili dell’ospedale, che ogni giorno vedono i propri reparti affollarsi di gente povera, senza nessun mezzo, che chiede disperatamente aiuto. La sanità locale, quando presente, è del tutto insufficiente a soddisfare qualsiasi tipo di esigenza o soccorso. Giriamo per i reparti, incontriamo i sorrisi di pazienti e famigliari, prendiamo un po’ di dimestichezza con il linguaggio ospedaliero e ci lasciamo conquistare dai racconti di Valeria.
Dopo aver visitato i meravigliosi templi di Angkor, osservato i delfini neri sul Mekong, esplorato i mercati sull’acqua, mi sembrava quasi superfluo andare al mare. Invece la località di Kep al confine con il Vietnam ci ha riempito di bellezza e serenità, l’isola dei Conigli ci ha regalato ore di relax totale e pesce fresco alla griglia dal sapore epocale.
Ma la Cambogia è anche la terra dei parchi naturali, primo per bellezza il Ream national park. In barca siamo approdati a spiagge bianche ed esplorato foreste di mangrovie, ci siamo insabbiati e siamo stati soccorsi dai pescatori, abbiamo fatto bagni e ci siamo anche un po’ arrostiti al sole…
La Cambogia è anche tristemente una terra di conquista. Da parte dei cinesi che qui delocalizzano molte attività industriali manifatturiere (il salario medio in Cambogia è di 30 dollari al mese). Da parte di noi turisti occidentali, coi bordelli carichi di ragazze giovanissime e disperate che stanno aumentando a dismisura. Le speculazioni edilizie lungo la costa e nella capitale, i mega alberghi, società occidental-cambogiane senza scrupolo che spazzano via le baraccopoli ed i villaggi sulla costa per fare posto ai contenitori in cemento del sogno per pochi e della sofferenza per molti. Segnali di speranza non mancano. Il progetto di Fileo e l’incontro con Gino (orefice che ha chiuso i battenti a Vicenza per stravolgerli e riaprirli a Phnom Penh) ci fa capire quanto sia faticoso ed allo stesso tempo entusiasmante ridare una dignità a ragazzi che si avviano così ad una p rofessione. Dalla vita di strada ad esperti orefici; materie prime: l’ottone delle mine esplose e l’argento delle campagne di raccolta in Italia. Una cena con Gino e questi ragazzi ci fa riflettere su quanto sia sottile e valicabile il limite tra la sofferenza e la solitudine e la speranza di una vita migliore.
Un altro piccolo ricordo di bellezza e coraggio: un progetto che coinvolge le persone non vedenti, che diventano esperti e capaci massaggiatori shiatsu…noi non potevamo certo lasciarci sfuggire l’occasione di mettere alla prova le loro capacità e sensibilità…
Date uno sguardo alle date delle prossime partenze, siamo pronti a farvi partire ancora per questo paese meraviglioso e a raccogliere la vostra testimonianza di viaggio.
Enrico de Luca