In questi giorni vari esponenti politici ed ecclesiastici si stanno agitando sul problema dell’insegnamento della religione islamica a scuola, dopo il dibattito avviato dalla riunione della Consulta islamica. Chi invoca la reciprocità e chi parla di libertà (dei giovani studenti o delle comunità confessionali?).
Tutti però pare ignorino – o facciano finta di ignorare – che il problema non è quale/quali religioni devono essere insegnate a scuola, ma se ha senso che sia insegnata religione a scuola; in altre parole, bisogna chiedersi che senso ha nella scuola di tutti la presenza dell’insegnamento di una religione specifica, che certo viene già trasmessa ai giovani nei luoghi idonei dalle rispettive famiglie e dalle comunità religiose.
Sarebbe interessante piuttosto fare riferimento al fenomeno antropologico che va sotto il nome religione all’interno di storia, letteratura, filosofia.
In quest’ottica sarebbe una straordinaria apertura a letterature e cosmovisioni provenienti da altre culture di cui spesso la nostra è debitrice senza riconoscerlo.
Il Concordato, rivisto da Craxi nel 1984, ha esteso l’insegnamento della religione cattolica dalla scuola materna in poi, introducendo la facoltà di “avvalersi o non avvalersi” e creando non poche difficoltà a bambini e bambine prima ancora che alle loro famiglie. La presenza di questo insegnamento è sempre stata circondato da ambiguità, sia rispetto alla possibilità di controllo da parte dello Stato sulla materia stessa (“l’IRC … è impartito in conformità della dottrina della Chiesa”), sia rispetto al peso nella valutazione dello studente per l’ammissione agli esami di Stato (credito o voto di media?).
Con la riforma della scuola superiore la ministro Moratti ha inserito l’insegnamento della religione tra le materie obbligatorie. D’altra parte, dopo aver immesso in ruolo persone scelte dal Vescovo, ma pagate dallo Stato, non si poteva correre il rischio che, come succede in molte scuole superiori, la maggioranza degli studenti scelga di “non avvalersi” : ci si sarebbe potuti trovare con insegnanti assunti e pagati, ma senza studenti!
Forse è veramente arrivato il momento di riprendere alla lettera il primo comma dell’art. 7 della Costituzione: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”. Ne guadagnerebbe la libertà di tutti, religione compresa.
La scuola è lo spazio della crescita dei nuovi cittadini e cittadine dove il confronto, la capacità di ascolto reciproco e di pensiero critico devono essere strumenti privilegiati dell’azione educativa. Le fedi non possono essere critiche, sono per loro natura assolute e, se sono legittime e tutelate come libertà di scelta individuale, devono trovare, tutte, altri spazi in cui agire, rimanendo il principio di laicità il terreno del confronto civile e democratico tra cittadini uguali in dignità e diritti.
Giuliana Beltrame, consigliera comunale ind. PRC, Padova