Impronta ecologica, per scoprire dove va Padova

Ecopolis ha pubblicato alcune interessanti considerazioni dell’architetto Pierluigi Matteraglia sulla metodologia adottata per la predisposizione della Valutazione Ambientale Strategica (VAS) relativa al Piano di Assetto Territoriale (PAT) di Padova in risposta ad alcune mie osservazioni critiche pubblicate in un precedente numero della rivista. In attesa della documentazione degli studi effettuati, ed in aggiunta a quanto ho già sostenuto, mi siano consentite alcune note di commento alle considerazioni di Matteraglia.

Senza dubbio va riconosciuto a Matteraglia il merito di aver elaborato una metodologia che si propone di fornire una base oggettiva alle valutazioni concernenti l’impatto ambientale degli indirizzi e scelte operate dai piani urbanistici. Il principale indicatore proposto è quello dell’impronta ambientale, che esprime il consumo di risorse “non procapite” (come nel caso dell’impronta ecologica), bensì “per ogni componente ambientale, assumendo che ogni componente ambientale sia caratterizzata da alcune attività specifiche che consumano risorse le quali appunto sono esprimibili in ettari di terreno”. Ponendo l’accento sulle attività e non sugli individui, sostiene Matteraglia, “l’obiettivo dell’improntaambientale non è quello di confrontarsi con una situazione ideale ma di attuare una politica di sostenibilità contenendo le attività che consumano più risorse, mitigandone e compensandone gli effetti”.

Ciò premesso e considerato il fatto che la nuova legge urbanistica regionale estende il proprio campo d’azione alle più complesse problematiche della “gestione del territorio”, non vedo contraddizione alcuna con la proposta, da me avanzata,di affiancare all’impronta ambientale utilizzata da Matteraglia, anche quella relativa all’impronta ecologica, che adottata dall’associazione internazionale delle città sostenibili, avrebbe il vantaggio di consentire un utile confronto con le altre realtà urbane e (introducendo il parametro della popolazione insediata e dell’equa distribuzione delle risorse) di “misurare” il grado di responsabilità della nostra comunità rispetto ai cambiamenti climatici ed alle trasformazioni ecologiche e sociali in atto a scala planetaria. Un indicatore in grad o di suggerire la necessità di invertire le attuali tendenze di sviluppo (estendendo le aree verdi, rinaturalizzando i suoli cementificati, riducendo il traffico su gomma e le emissioni inquinanti …) e non semplicemente finalizzato alla mitigazione degli ulteriori effetti negativi che le nuove urbanizzazioni e le nuove cementificazioni previste dal piano inevitabilmente produrranno (così come peraltro proprio le elaborazioni svolte da Matteraglia dimostrano in termini “oggettivi”).

Sempre in tema di indicatori di sostenibilità andrebbe ricordato che l’esperienza della città di Seattle (a tutt’oggi una delle più significative a scala mondiale) ha evidenziato come essi debbano essere caratterizzati da una forte capacità simbolica e comunicativa, da un elevato grado di “leggibilità” anche da parte dei comuni cittadini, perché è difficile immaginare un processo di riconversione ecologica delle nostre città che non sia sostenuto dalla partecipazione attiva dei cittadini.

Un secondo aspetto delle considerazioni di Matteraglia riguarda la questione dei possibili scenari alternativi, di cui la Direttiva comunitaria chiede l’esplicitazione e comparazione nella formulazione della VAS. Di fatto, per quanto illustrato nell’ultimo incontro di Agenda 21, le alternative prese in considerazione sembrano esclusivamente riguardare aspetti del tutto marginali dell’assetto urbano, forse dando per scontato che l’unica strategia possibile sia quella di una semplice razionalizzazione degli attuali meccanismi di crescita urbana, regolati di fatto dall’iniziativa privata, mentre l’azione pubblica sembra doversi limitare ad una estenuante contrattazione con i proprietari delle aree e gli operatori immobiliari finalizzata ad ottenere – in cambio delle cubature concesse e della rendita differenziale acquisita – parziali benefici in termini di servizi ed aree cedute al Comune (in molti casi estremamente frazionate e di scarsa utilità pubblica).

Matteraglia afferma che neppure nell’ambito di Agenda 21 sono emersi scenari realmente alternativi o che, comunque, quelli proposti non sarebbero stati supportati da schemi organizzativi e da programmi temporali sufficientemente articolati.

Su questa affermazione dissento decisamente. Ritornerò sull’argomento limitandomi a ricordare come in più occasioni e con documenti scritti nel corso di questi anni Legambiente abbiamo formulato organiche proposte di un diverso assetto del territorio a scala urbana ed intercomunale. Proposte centrate in primo luogo sul potenziamento del sistema dei trasporti collettivi (in particolare su ferro) e la riduzione del traffico automobilistico privato, sul disegno di una città metropolitana multipolare che preveda la concentrazione degli interventi di trasformazione e riqualificazione urbana in un numero ristretto di nuove centralità servite dai mezzi pubblici, sul progetto di una estesa cintura verde (green belt) che, inglobando i comuni contermini, definisca un limite preciso alle nuove espansioni urbane e si connetta ai residui cunei verdi della città. Un progetto (sull’ese mpio del GrünGürtel di Francoforte) non solo vincolistico, bensì operativo, di intervento diretto degli enti pubblici e di incentivazione alle trasformazioni dei privati, finalizzato alla riforestazione a fini ecologici, al potenziamento ed alla riconversione con criteri biologici delle attività agricole, alla formazione di un nuovo paesaggio (si veda a questo proposito anche il documento “Rete verde e gestione del suolo” predisposto nell’ambito delle attività di Agenda 21).

Sergio Lironi – Presidente Legambiente Padova