Attualmente la produzione da fonti rinnovabili solari si mantiene grazie agli incentivi statali che a loro volta si alimentano con il prelievo sulle bollette elettriche degli italiani. In attesa della grid parity (momento in cui il costo dell’energia rinnovabile sarà minore o uguale al costo dell’energia dalla rete) bisogna agire con lungimiranza, come è stato fatto in Germania, dove imprese e Governo hanno concordato importanti riduzioni agli incentivi sul lungo periodo, in considerazione del calo del costo di installazione, del valore ecologico ma anche dell’occupazione che le rinnovabili stanno ingenerando.
Questo non è invece avvenuto in Italia dove prima è stata montata una polemica sugli alti costi in bolletta dell’energia pulita e poi è stato emanato il tristemente noto Decreto Romani che, con un colpo di spugna, ha cancellato retroattivamente impegni triennali decisi dallo stesso Governo appena l’agosto scorso, spingendo nel caos l’intero settore che conta oltre 150 mila addetti.
Le due notizie sono collegate, neanche troppo velatamente, al rilancio del nucleare in Italia: con che coraggio infatti la lobby dell’atomo poteva sostenere una tecnologia così pericolosa (vedi i dubbi francesi sull’EPR) , costosa e inquinante mentre la green economy galoppava così velocemente? Poi, a complicare i piani è arrivato il terribile incidente di Fukushima e allora un anno di stand-by.
Ma le polemiche sui costi reali associati allo sviluppo delle rinnovabili non si placano.Partiamo dal fotovoltaico: la bolla fotovoltaica è scoppiata a gennaio 2011 quando il GSE (Gestore Servizi Energetici) informava il Governo dei numeri impressionanti registrati: nell’ultimo anno erano sestuplicate le domande di incentivo, arrivando quasi a raggiungere il tetto massimo previsto per il settore al 2020 (numeri contestati dalle associazioni di categoria). Tutta colpa del famoso Decreto “salva Alcoa” che ha prolungato la validità degli incentivi agli impianti installati entro il 31 dicembre e non ancora allacciati alla rete elettrica per i quali c’è tempo fino al 30 giugno 2011!. Questo meccanismo così dilatato nel tempo ha ingenerato una corsa sfrenata alla realizzazione di impianti, anche con false dichiarazioni di fine lavori. Un boom che avrà sicuramente una ricaduta sulle bollette elettriche.
Ma quanto paghiamo realmente? Una bolletta di una famiglia costa mediamente 545 euro all’anno. Il 9,5% è rappresentato da “oneri generali” (circa 52 euro). Di questi meno della metà va a finanziare direttamente le fonti rinnovabili. Con gli altri oneri paghiamo ad esempio il famigerato meccanismo CIP 6 con 1.241 milioni di euro/anno (contributi dati ai termovalorizzatori e raffinerie che bruciano scarti di lavorazione petrolifera), o il contributo di 355 milioni di euro l’anno dato alle FS e a 120 grandi aziende energivore come premio per l’interrompibilità in casi di emergenza.
A conti fatti le rinnovabili costano agli italiani meno 2,5 euro al mese, rappresentando una quota marginale del costo della bolletta elettrica. Nel 2011 l’aumento del costo previsto per il fotovoltaico passerà presumibilmente dall’1,2% al 1,7%.
“Non è possibile ingannare i cittadini – ha detto recente Cogliati Dezza – con lo spauracchio degli alti costi dell’energia del vento e del sole, senza fare prima chiarezza sui costi reali della produzione energetica”. I costi elevati delle nostre bollette (20% in più rispetto alla media europea) sono dovuti alla cronica dipendenza dell’Italia dall’importazione di petrolio e gas naturali dall’estero e l’equilibrio energetico è sbilanciato a vantaggio di questi ultimi. Ben altre voci incidono sulla spesa in bolletta che si traducono in meri sussidi a pochi grandi senza generare né sviluppo economico né occupazione.
Difficile quantificare quanto potrà pesare sulle bollette la ripresa dei programma nucleare italiano, visto che utilizza tecnologie che non si sono significativamente evolute e con costi gestionali in costante crescita (vedi qui). Di sicuro sappiamo che a 24 anni dal referendum stiamo ancora pagando 285 milioni di euro ogni anno per il cosiddetto decommissioning delle vecchie centrali nucleari (5,2 euro l’anno a famiglia). D’altronde, non esiste Paese al mondo che sia riuscito a trovare un sito di stoccaggio definitivo per le scorie radioattive. Sarebbe più utile e corretto allora informare su quanto andrebbe a pesare sulla bolletta il nuovo nucleare all’italiana.
Federico Gianesello- Legambiente Padova