Per un futuro con meno cemento

Le minacce e le intimidazioni al Comitato Lasciateci respirare mi riportano al clima di 40 anni fa quando ad essere presi di mira erano quelli che si battevano per liberare i Colli dalle cave.

Una reazione, allora come ora, in parte comprensibile, anche se non giustificabile. Mi riferisco naturalmente alla sacrosanta preoccupazione di chi vede messo in pericolo il posto di lavoro.

Ma il problema non può fermarsi qui, solo al posto di lavoro. Avremmo altrimenti dovuto tenerci le cave, una realtà che sicuramente pochi oggi rimpiangono.

Se quello che è in discussione è un cambiamento dal quale la collettività ha da guadagnarci, la decisione va presa, affrontando contemporaneamente le conseguenze di questa decisione. Lo si è fatto appunto negli anni 70 (anche se forse non con la efficacia auspicabile). Lo si faccia anche ora, da parte di politici e amministratori innanzitutto che dovrebbero avere una strategia ben precisa: i prossimi anni dovrebbero essere, non tanto per la crisi, ma per una scelta condivisa, gli anni della “decementificazione”. Lo impongono problemi non solo ambientali, ma anche culturali ed economici.

Il diluvio di cemento che si è abbattuto negli ultimi decenni ha massacrato il nostro territorio, ma ha anche inquinato culturalmente la società (può essere il cemento a salvare i bilanci comunali?). E ha inoltre orientato l’economia verso una forma “palazzinara” che non può avere futuro. “Cemento amato” è il titolo di un lungo servizio nell’ultimo numero del Giornale dell’Architettura dedicato al ruolo eccessivo avuto dal cemento nella nostra politica, in particolare quella regionale.

E’ significativo rilevare che quelle nazioni che in anni recenti ci avevano sorpassato in fatto di consumo di cemento (Grecia, Irlanda, Spagna, Portogallo) sono ora quelle in cui la crisi è più profonda. Mentre la Germania, che ha saputo dimezzare il suo consumo pro capite, ha l’economia più solida del continente. E una politica ambientale rigorosa. Quale modello vogliamo seguire per il futuro?

Queste considerazioni generali valgono in modo particolare per la nostra area, che pur essendo un’area parco e con i ben noti problemi di inquinamento, ha una concentrazione di cementerie senza altre uguali.

Possibile allora continuare ad affidare il nostro futuro al cemento per altri decenni?

E’ comprensibile che non siano direttamente gli operai a porsi questo problema. Ma i loro vertici sindacali? E soprattutto gli amministratori e i politici? Si faccia quel che, invero per motivi meno nobili, si è fatto con gli zuccherifici. Se ne sono chiusi addirittura quindici, ma per far fronte alle conseguenze si è anche adottato, tra l’altro, un provvedimento legislativo ad hoc.

Solidarietà piena allora a chi trova il coraggio di sollevare queste problematiche, ma contemporaneamente un forte richiamo a chi ha il dovere di guidare le scelte che riguardano il nostro territorio. Spetta a loro, come si è fatto 40 anni fa, fare quelle più vantaggiose per il futuro.

Gianni Sandon – Comitato Difesa Colli Euganei

A difesa del diritto alla salute è indetta una manifestazione, che si terrà sabato 27 novembre, dalle 15.30 alle 19.00, in piazza Mazzini a Monselice. Per saperne di più clicca qui per leggere la locandina