Il mondo dell’edilizia è sceso in piazza compatto per chiedere al governo un nuovo modello di sviluppo e norme certe per il settore. Non era mai successo: così si è aperto questo impegnativo dicembre italiano.
La perdita di oltre 250.000 posti di lavoro evidenzia che il settore edile non è più la locomotiva trainante degli ultimi decenni. Di boom in boom, le spinte verso l’alto sono diventate sempre meno effervescenti: il settore ormai è sgasato e la grande, e legittima, preoccupazione è dove trovare l’"idrolitina" necessarie, sempre che si vogliano ottenere nuove bolle d’aria.
Fino a questo momento la miopia dei programmi ha puntato sulle nuove lottizzazioni per dare boccate sistematiche di ossigeno ad un settore comunque in declino, con enormi consumi di territorio. Ora non basta più; il nuovo resta spesso invenduto, la scala di intervento si sta pericolosamente spostando e siamo a grandissimo rischio di nuove incontrollabili speculazioni che stanno prendendo forma nei progetti megalomani del tipo Veneto city, Motor city o l’agghiacciante Europa in miniatura che minaccia l’ambiente protetto del delta del Po. E poco ci rassicura che alcuni di questi progetti si tingano di verde.
Una reale possibilità di crescita e sviluppo del settore dovrebbe invece prevedere una visione più moderna, creativa, socialmente e politicamente corretta, rispondente agli impegni presi in tema di riduzione delle emissioni inquinanti e rispettosa delle direttive europee , troppo spesso disattese dal nostro paese
La Commissione europea, ad esempio, non ritiene che le nostre leggi nazionali sul rilascio degli attestati di rendimento siano in linea con la Direttiva 2002/91/Ce. Nel 2009 la Commissione ha messo già in mora l’Italia per la cancellazione dell’obbligo di allegare il certificato di rendimento energetico agli atti di compravendita degli immobili (v.art. 35 della L.133/2008) e la nuova direttiva comunitaria, la 2010/31/Ce, prevede nuovi impegni da rispettare in un’ottica sempre più cogente.
Il comparto edile rappresenta l’11% del Pil e dà lavoro a circa 3 milioni di addetti, ma l’edilizia, tra produzione e consumi, inquina quasi per il 50% l’aria delle città europee. Sono, quindi, necessarie misure di riduzione dei fattori inquinanti che, a nostro avviso, rappresentano non un ostacolo alla produzione ma una opportunità per l’ambiente e per il mondo del lavoro:
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ridurre, secondo le direttive europee, il consumo per la climatizzazione degli edifici, inserendo energie rinnovabili, può far sì che le nostre case producano energia commercializzabile;
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strutturare un piano di tutela, consolidamento e ricostruzione del patrimonio edilizio postbellico, del tutto inadeguato ormai architettonicamente, urbanisticamente e strutturalmente (v. nuova normativa antisismica), inserendo la riqualificazione energetica, può comportare una generale riqualificazione del territorio e migliorare la tutela del paesaggio;
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queste azioni realizzerebbero un grandissimo indotto produttivo che coinvolgerebbe l’industria;
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a ciò va aggiunto l’obiettivo di migliorare la qualità e la legalità dell’impresa al fine di garantire una maggiore sicurezza dei cantieri, la tutela del lavoro edile, la formazione graduale di addetti sempre più qualificati e l’integrazione della manodopera straniera, abbandonando il modello terzomondiale di sfruttamento della manodopera;
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gli Enti pubblici, per contro, in deroga alle disposizioni previste dal Patto di stabilità, dovrebbero pagare i debiti alle imprese per dare liquidità e sostegno ad un settore vitale per la tenuta economica ed occupazionale del Paese”.
Il settore pubblico in questo quadro può assumere un ruolo guida e di indirizzo dei fondi, delle risorse umane e di progetti intelligenti; applicare e far applicare le norme, programmare incentivi, utili anche a fini sociali, che promuovano vasti interventi privati nel settore della riqualificazione di interi ambiti di tessuto urbano, coordinare gli Interventi su aree e quartieri degradati architettonicamente e socialmente che possono essere recuperati.
Le aree industriali ormai sotto utilizzate devono rivivere grazie alla riconversione dei tanti volumi inutilizzati come centri energetici, che sfruttano energie rinnovabili a servizio dei centri urbani, senza dover perpetrare il folle consumo di territorio e scempio del paesaggio agricolo che i cosiddetti orti energetici ci stanno offrendo sempre più numerosi. Per il supporto dei pannelli fotovoltaici può bastare la riconversione delle coperture dei capannoni delle zone industriali, prevedendo piani operativi a livello comunale e provinciale e adeguati strumenti di investimento.
Scuole ed edifici pubblici dovrebbero prevedere dei programmi di manutenzione ordinaria e straordinaria coerenti e funzionali ad un progressivo adeguamento anche energetico, perchè i costi di manutenzione ed i consumi energetici degli edifici pubblici sono troppo spesso al di fuori di qualunque oggettivo criterio di gestione responsabile; a questo fine potrebbero essere rese disponibili le risorse destinate dal CIPE soprattutto per piccole opere e per l’edilizia scolastica.
Elena Rigano – architetto e socio di Legambiente