Un decalogo per la moschea

Le polemiche sulla moschea di Padova stanno conoscendo un crescendo significativo. Diventa utile quindi cominciare a chiarirne i punti fondamentali e la posta in gioco. Questo è un sunto di un “decalogo” che può essere scaricato (clicca qui).

1) La discussione. Ben venga un confronto pubblico, anche duro, sulla questione: è un requisito fondamentale e il sale della democrazia. Sul tema dell’Islam poi le opinioni sono molte, ma le informazioni poche: una discussione franca e aperta può contribuire a farne circolare di più.

2) I diritti. La discussione può fare tutto, ma non limitare un diritto costituzionalmente riconosciuto. Il diritto alla libertà religiosa e di culto, e la garanzia dei diritti delle minoranze, è a fondamento dell’occidente e della sua cultura giuridica.

3) Il luogo. Se il diritto va garantito in quanto tale, non si potrà eccepire sul se i musulmani abbiano diritto ad un loro luogo di culto, ma eventualmente solo sul come e sul dove. E su questo ogni opinione è lecita. Qualche considerazione, tuttavia, si può anticipare. La sede prevista per la moschea di Padova è in una zona non residenziale, lontana da insediamenti abitativi, con spazi adeguati a ricevere i fedeli, e ampi spazi di parcheggio a disposizione: è quindi un luogo ideale per non creare eventuali disagi alla popolazione. Scelte simili sono state già fatte in altre città italiane ed europee da amministrazioni di ogni colore politico.

4) I costi. I contrari alla moschea dicono di non voler usare denaro pubblico aiutando i musulmani a costruirla. Posizione legittima e seria. In questo caso, non vi è finanziamento diretto, ma la concessione di un terreno e di uno stabile, peraltro ponendo a carico dei destinatari gli oneri di ristrutturazione, che tornerebbero poi alla comunità, una volta finito il periodo di concessione. Non solo: contribuire a risolvere un problema sociale, potenziale fonte di conflitti, è esso stesso un risparmio, in termini economici e di disagio della popolazione.

5) Il controllo sociale. Le comunità religiose svolgono un ruolo sociale importante, creando luoghi di aggregazione moralmente più sani, favorendo forme di relazione non conflittuale, ed agendo come strumenti di controllo sociale. Coloro che delinquono non sono di solito i più pii e praticanti; né chi si ubriaca, o spaccia, o magari stupra è stato consigliato in questo senso dalla sua religione: semmai il contrario. I luoghi di aggregazione di chi delinque sono altri: e da chiudere sarebbero magari certi bar o certi luoghi del divertimento.

6) Il terrorismo. C’è un’eccezione a questo ragionamento ed è il fondamentalismo e il terrorismo su cui l’attenzione e l’allarme devono essere doverosamente elevati. Occorre quindi vigilare e prevenire. E giustamente reprimere, quando è il caso.

Ma una domanda è lecita: una moschea, riconoscibile e dignitosa, con una leadership conosciuta e con relazioni durature con le istituzioni, che si apra alla città, fornisce più o meno garanzie, in questo senso, di una moschea-catacomba, con rappresentanti sconosciuti ai più e non implicati in relazioni istituzionali?

7) I rappresentanti. E’ doveroso conoscere i dirigenti e i rappresentanti della comunità che si appresta a gestire la moschea. Loro è l’onere di presentarsi alla città, di farsi conoscere. Poi, andrà giudicato il ruolo da loro già svolto in precedenza. Se si sono fatti veicolo di messaggi fondamentalisti, se ne traggano le dovute conseguenze. Ma se così non è stato, o è stato magari il contrario, è legittimo un processo alle intenzioni?

8) Gli altri attori sociali. Vi sono molti attori, sociali, politici, intellettuali e religiosi, che hanno o possono avere una opinione autorevole e valutazioni specifiche sulla questione. Le forze politiche di maggioranza e di opposizione ne rappresentano alcune, ma non possono pretendere alcun monopolio. E’ da segnalare il ruolo pacato, consapevole dei diritti di libertà religiosa, ma anche attento, della chiesa cattolica e delle altre minoranze religiose: loro è il compito di tessere e mantenere reti di relazione, in parte già esistenti, che favoriscano un processo di integrazione e di inclusione nel paesaggio religioso della città. Vi sono poi i comitati di zona, l’associazionismo che si occupa di immigrati, quello ambientale e culturale, l’università. Da tutti sarebbe auspicabile la capacità di aiutare la città a discutere e capire.

9) La paura. La paura crescente dell’altro, del diverso, del musulmano, è il convitato di pietra del dibattito e delle polemiche intorno alla moschea. Poiché è un sentimento diffuso e in aumento, esso non va né irriso né sottovalutato né rimosso. E’ utile e doveroso, quindi, cogliere l’occasione della discussione sulla moschea per affrontare i nodi problematici che l’Islam riteniamo ci ponga: discutendone tra di noi e con i musulmani, con franchezza.

Il referendum. In questa logica, se la discussione è benvenuta, l’idea del referendum lo è meno. Per motivi di principio: perché non è ammissibile che delle maggioranze si pronuncino sui diritti delle minoranze. Perché, per queste ragioni, gli esiti del referendum sarebbero impugnabili in molte sedi, giuridiche in primo luogo. Perché il referendum presuppone una logica di sì e no che mal si concilia con la necessità di discutere e approfondire. E infine perché il bilancio tra costi materiali del referendum e benefici sociali che ne risulterebbero sarebbe probabilmente in perdita per la città. Detto questo, è bene che venga colta l’occasione di discussione che i promotori del referendum propongono. Poi si esprima, come giusto, la città.

Stefano Allievi – Docente di Sociologia, Università Padova