Cresce a livello mondiale il costo degli alimenti e scarseggia il suolo coltivabile, fenomeni non contingenti dovuti ad una molteplicità di fattori. Tra questi la costante crescita dei consumi generata dalla persistente crescita demografica a livello mondiale, dall’aumento del grado di benessere e quindi dal cambiamento delle abitudini alimentari di una parte consistente delle popolazioni, la riconversione a fini energetici di molte colture, la desertificazione indotta dal generalizzato utilizzo di diserbanti e fertilizzanti chimici, l’introduzione degli OGM, l’intensificata frequenza dei disastri ambientali, la speculazione e lo spreco che caratterizzano le reti della grande distribuzione, ecc.
Non solo nel Sud del Mondo, ma anche in Europa vi è oggi una crescente attenzione per la riscoperta e la valorizzazione delle preziose aree agricole urbane e periurbane sopravvissute all’alluvione edilizia degli ultimi decenni. In molte città del centro e del nord Europa l’autoproduzione alimentare e/o l’acquisto di prodotti alimentari “a chilometro zero” coprono una quota crescente dei consumi delle famiglie con indubbi vantaggi, sia di tipo economico sia ai fini della salute e del benessere, per produttori e consumatori (quelli che – associati nei gruppi di acquisto solidale – Carlo Petrini definisce come co-produttori). Un’attenzione che quasi sempre si associa alla tutela della biodiversità, dell’ambiente e del paesaggio.
La battaglia contro il consumo di suolo e per la salvaguardia e la valorizzazione dei terreni agricoli dovrebbe divenire una delle strategie di fondo di ogni nuovo piano urbanistico e territoriale, anche per scoraggiare ogni attesa speculativa. L’integrazione tra reti ecologiche ed aree destinate all’agricoltura può infatti contribuire in misura determinante alla riqualificazione funzionale e paesaggistica di ampi tratti della “città diffusa” caratterizzante molte regioni europee ed italiane.
Ma è realistico proporre un progetto di agricoltura urbana nello specifico dell’area metropolitana padovana?
Complessivamente in trent’anni (1970-2000) nei 18 comuni della comunità metropolitana la Superficie Agricola Totale (SAT) delle aziende censite dall’Istat è diminuita in termini assoluti di ben 72 milioni di mq (il 25% della superficie agricola censita nel 1970), passando da 28.563 a 21.332 ettari. Considerando il solo territorio amministrato dal Comune di Padova la perdita di territorio agricolo è stata di circa 17 milioni di mq (pari al 41% della superficie agricola iniziale), passando da 4.338 a 2.552 ettari.
Per Padova e provincia non sono ancora disponibili i dati relativi agli anni 2000, ma da un’indagine Istat del 2007 relativa al Veneto si evidenzia che il consumo di suolo agricolo a livello regionale, anziché diminuire, ha subito un’ulteriore impennata, passando dalla media di 9.752 ettari/anno del decennio precedente ad una media di 11.841 ettari/anno.
Purtroppo tra le dichiarazioni di principio della nuova legislazione urbanistica – che richiama alla sostenibilità ambientale e del recupero dell’esistente – e le reali scelte di dimensionamento dei piani vi è quasi sempre una distanza abissale. Si è persino giunti ad interpretare creativamente le norme e ad “aggiustare” i conti delle relazioni tecniche per aggirare il limite massimo alla trasformabilità delle superfici agricole utilizzate (SAU) imposto dalla legge (vedi articolo in un precedente numero di Ecopolis, n.d.r.).
Eppure, se ve ne fosse la volontà politica, una inversione di tendenza sarebbe ancor oggi possibile. Un preciso punto di riferimento può a questo fine essere individuato nel Piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP) adottato nel 1995 e poi, purtroppo, lasciato decadere. Un piano che – contrastando la dispersione urbana – descriveva una città metropolitana policentrica, articolata in un ridotto numero di nuclei insediativi esterni serviti dalla rete dei trasporti collettivi e caratterizzati dal decentramento di alcuni significativi servizi territoriali. La concentrazione dell’edificato in alcune polarità esterne avrebbe consentito la formazione attorno alla città centrale di un’estesa cintura verde (o “green belt”) di 8.900 ettari, costituita da aree agricole, ambiti naturalistici e spazi di verde attrezzato. Verde che potrebbe penetrare all’interno degli insediamenti urbani con raggi verdi e corridoi ecologici.
Certo, per tradurre in realtà l’idea della cintura verde periurbana occorre elaborare un progetto operativo condiviso da tutti i soggetti potenzialmente coinvolgibili: enti locali, associazioni di categoria, agricoltori ed operatori economici, consorzi di bonifica, associazioni ambientaliste e di volontariato, ecc.
Gli esempi a livello Europeo non mancano. Forse il più noto è quello avviato nel 1990 dalla Municipalità di Francoforte in Germania, il progetto di GrünGürtel (cintura verde): un sistema unitario di boschi, aree agricole e parchi urbani con collegamenti verdi radiali e circolari ai quartieri del centro urbano, per la cui attuazione venne costituita una apposita agenzia di carattere pubblico.
Concetti non dissimili caratterizzano il progetto di Gren Belt elaborato in anni più recenti dalla città di Torino ed il progetto di parchi urbani e rurali predisposto dalla città di Ferrara. Ma l’esperienza forse più significativa in Italia è quella del Parco Agricolo Sud della provincia di Milano.
Il parco agricolo, che avvolge la periferia sud della città di Milano, venne istituito con apposita legge regionale del 1990 e comprende attualmente un territorio di circa 47.000 ettari (il 50% del territorio metropolitano) di cui 35.000 coltivati. Nel suo ambito vi sono 910 cascine ed operano oltre 4.000 addetti. Le attività agro-silvo-colturali sono assunte come elemento centrale e connettivo per la vita del parco.
In vista dell’Expò 2015, dedicato al tema “Nutrire il pianeta, energie per la vita”, l’associazione Slow Food di Carlo Petrini in collaborazione con il Politecnico di Milano ha inoltre da tempo avviato un programma di potenziamento delle attività del Parco, finalizzato in particolare a trasformare l’agricoltura secondo criteri di sostenibilità ed innovazione, all’utilizzo di risorse energetiche rinnovabili, alla costruzione di nuove filiere alimentari con l’istituzione di un Mercato della Terra settimanale alla periferia di Milano, alla creazione di appositi fondi finanziari per favorire l’ingresso dei giovani in agricoltura ed alla promozione di pratiche educative permanenti.
Per le ragioni esposte, seguendo il positivo esempio delle esperienze di pianificazione urbana e territoriale di numerose altre città europee ed italiane, considerato anche il fatto che nell’area metropolitana di Padova esistono ancora oltre 21.000 ettari di territorio agricolo (il 57% della superficie territoriale complessiva), riteniamo che, per garantire uno sviluppo realmente sostenibile alla città di Padova, sia assolutamente necessario ed urgente l’elaborazione di un progetto di salvaguardia e valorizzazione (economica e paesaggistica) del territorio agricolo urbano e periurbano. Un progetto che deve essere esteso alla scala metropolitana essendo inimmaginabile che venga frammentato nei PAT dei singoli comuni. Un primo passo in questa direzionenon può quindi che essere costituito dall’integrazione dei tematismi relativi all’agricoltura ed al paesaggio agrario nel PATI intercomunale recentemente adottato. In pendenza di detta integrazione si deve richiedere ai Comuni di non approvare alcuna variazione di destinazione d’uso dei terreni agricoli per non compromettere la possibilità di elaborare un organico progetto unitario.
Sergio Lironi – presidente onorario Legambiente Padova