Molto spesso i disastri ambientali hanno implicato contaminazioni e tragedie umane di proporzioni vastissime. Le questioni di questo tipo non hanno un carattere locale, ma fanno parte di una emergenza globale. Tutto questo è reso ancor più pesante dal fatto che, nella stargrande maggioranza dei casi, tali disastri rimangono impuntiti, vuoi per la difficoltà di assegnare delle responsabilità, vuoi perchè a livello internazionale mancano gli strumenti legislativi per agire in termini sanzionatori. Sono queste le ragioni alla base della proposta: oltre alla fase respessiva, occorre disporre di misure sanzionatorie e, ugualmente, di misure preventive. E ciò alla luce dell’importanza fondamentale riconosciuta al principio di precauzione, che dovrebbe governare il criterio della giustizia internazionale rivolta al riconoscimento dell’ambiente come strettamente legato al diritto alla vita. Esso trova la sua applicazione giuridica nell’articolo 2 della Dichiarazione Internazionale de i diritti umani, alla quale gli Stati sono vincolati.
La proposta vuole rispondere all’esigenza di attuare quello che già l’Onu e l’Unione Europea hanno contemplato e a livello culturale e a livello normativo: un’esigenza di legalità e di giustizia internazionale, applicata, con pene proporzionate, effettive e dissuasive. L’impunità dei disastri ambientali che mettono a serio rischio, quando non distruggono, i già fragili ecosistemi del nostro pianeta hanno bisogno di essere affronati con una risposta istituzionale universalmente riconosciuta che internalizzi gli ingenti costi relativi al fatto che sono gli individui, sempre, a pagare il prezzo di qualcosa che non è dipeso da loro, che viola i loro diritti, che mette a rischio la salubrità dell’ambiente e delle acque, senza i quali viene a mancare la condizione fondamentale alla base della vita.
Il disastro ambientale intenzionale, in un quadro di tutela transfrontaliera del pianeta, diventa per il suo impatto deflagrante sulla vita, un crimine contro l’umanità. Questo è definito infatti dallo Statuto di Roma come atto commesso nell’ambito di un esteso o sistematico attacco contro popolazioni civili, e con la consapevolezza dell’attacco, nonché atti inumani di analogo carattere diretti a provocare intenzionalmente grandi sofferenze o gravi danni all’integrità fisica o alla salute fisica o mentale. Chi ha pagato i danni alle coste della Galizia, dove la petroliera Prestige ha riversato circa 73.000 tonnellate di carburante in mare? Vi ricordate il disastro a Bhopal, che nel 1984 fu teatro del più ingente incidente chimico che la storia ricordi, con migliaia di morti e mezzo milione di contamninati (40.000 tonnellate di isocianato di metile) per non parlare di tutte le vecchie petroliere abbandonate ai nefasti destini che conosciamo, e sempre più spesso, sebbene sia illegale esportare rifiuti tossici (Convenzione di Basilea), scaricate nei paesi in via di sviluppo, rottamate nelle spiagge dell’India, del Pakistan, del Bangladesh… Abbiamo davvero bisogno di riconoscere l’ambiente come cornice essenziale della vita di ogni popolo, un diritto inalienabile che non può esistere senza una legislazione internazionale che attraverso i principi di prevenzione e correzione, soprattutto, attribuisca responsabilità individuali e collettive alle violazioni e ai disastri del nostr o pianeta. In questo senso, come sabato ricordava Paul Garlick*, ci auguriamo che presto anche gli impressionanti quantitativi di gas serra siano fatto oggetto di interesse da parte del diritto internazionale penale, e che ci siano delle misure legislative rivolte a resposabilizzare le emissioni industriali sulla base di un riconoscimento normativo globale.
La riflessione è stata il tema della terza edizione della conferenza sui cambiamenti climatici nel XXI secolo (Venezia, sabato 19 maggio 2007), con interventi in videoconferenza da tutto il mondo e con ospiti in loco, tra scienziati e studiosi, del calibro di Carlo Rubbia, Enzo Tiezzi, Carlo Carraro, Vincenzo Ferrara ed Ezio Todini, solo per citarne alcuni. Tra i molti interventi della giornata, nell’ambito della tavola rotonda pomeridiana centrata sulle risposte ai cambiamenti climatici, l’on. Felice Casson ha illustrato la proposta, in piedi da qualche tempo, di istituire a Venezia la Corte Penale Internazionale dell’Ambiente.
* Paul Garlick, esperto in Diritto internazionale criminale e giudice nominato presso la Corte dei Crimini di guerra della guerra Bosnia-Herzegovina di Sarajevo
Lisetta Zongaro