Il diritto non impone di compensare i vincoli

Molti sono gli interrogativi che in termini di vincoli urbanistici vorremmo chiarire.
Ad esempio: i vincoli posti, secondo il diritto italiano, dagli strumenti urbanistici decadono dopo un certo periodo di tempo? Se un Comune volesse tutelare un’area di pregio non ancora acquisita, deve scendere a patti con il proprietario concedendogli una quota di edificabilità, anche altrove? Il proprietario fondiario cui il piano regolatore ha attribuito una certa edificabilità, può pretendere un indenizzo dal Comune che ne ha modificato la destinazione d’uso, eliminando o riducendo fortemente l’edificabilità? Ed inoltre è necessario per “ragioni di diritto” compensare il proprietario la cui area non sia più edificabile come inizialmente previsto?
Numerosi urbanisti ed amministratori che da essi si lasciano convincere tendono a dare a queste domande una risposta positiva.
È facile dimostrare invece che, sulla base del diritto vigente oggi in Italia, “compensazioni” e “perequazioni” possono essere suggerite da opportunità politiche, ma non sono affatto la conseguenza obbligata di norme perverse, che tutelino troppo profondamente gli interessi dei proprietari a dispetto degli interessi generali.
All’interno di questo discorso è necessario distinguere due tipi di vincoli alla libera disponibilità della proprietà immobiliare: i vincoli ricognitivi e i vincoli funzionali o urbanistici. La pianificazione (regionale, provinciale, comunale) può imporre vincoli dell’uno e dell’altro tipo. Ma mentre per quelli “urbanistici” il vincolo non può essere imposto senza un interesse pubblico che lo motivi, e non può essere protratto senza indennizzo al di là di un termine ragionevole, per i vincoli “ricognitivi” non è necessario nessun indennizzo, perché il vincolo è “coessenziale” al bene.
La questione dei vincoli urbanistici fu posta per la prima volta in termini compiuti dalla Corte costituzionale nel 1968. La tesi che la Corte costituzionale argomenta nella sentenza 55/1968 può essere sintetizzata come segue. Il piano regolatore generale, una volta approvato, ha vigore a tempo indeterminato; anche i vincoli di destinazione di zona per uso pubblico sono validi a tempo indeterminato e sono immediatamente operativi.
Però al vincolo di piano non segue necessariamente l’atto concreto dell’espropriazione, e quindi del pagamento di una indennità: il vincolo ha validità a tempo indeterminato, e ugualmente indeterminato è il momento nel quale il comune avrà l’intenzione e la possibilità di realizzare l’opera prevista. Viene così a determinarsi “un distacco tra l’operatività immediata dei vincoli previsti dal piano regolatore generale ed il conseguimento del risultato finale”. Questo, sostiene la Corte, è costituzionalmente illegittimo.

Edoardo Salzano, Preside della Facoltà Pianificazione Territorio dello IUAV