Il Foro Boario a Padova. Un’Architettura da far rivivere

A distanza di qualche decennio si è ora in grado di valutare gli esiti di una stagione in cui la prefabbricazione ha destato grandissimi entusiasmi cui sono seguiti ahimè altrettante forti delusioni. La rivista “La Prefabbricazione” (poi evolutasi in “L’Edilizia”) era densa di articoli magnificanti il “nuovo” ma, è proprio il caso di riaffermarlo, pochi segni di eccellenza sono stati lasciati a futura memoria come gesti evidenti non di “edilizia” ma di “architettura” contemporanea.

 

Uno degli esempi da citare, anche se non così noto come meriterebbe, è il Foro Boario di Giuseppe Davanzo in Corso Australia a Padova. Qui, come esito non a caso di un appalto concorso, vi appare una declinazione colta e raffinata dell’arte del costruire, che ancor oggi stupisce per la sua modernità evidente, anche nella “tenuta” nel tempo, allorché modestissime se non nulle attenzioni sono state poste alla tematica manutentoria.

 

Questa straordinaria “architettura strutturale” dopo quarant’anni è ancora viva e vegeta, anche se piena di acciacchi e con manifesti segni di vecchiezza (non certo precoce), avendo ampiamente superato i limiti di vita utile di servizio nella sua “funzionalità”, mai esplicitata appieno, ma ancora all’interno dell’arco temporale della vita di servizio tecnica se non economica. In sintesi, un segno della cultura applicata al mestiere più bello del mondo: l’architetto costruttore.

 

Ecco perché la concreta e rinnovata attenzione del Committente (Comune di Padova) è molto ben vista e opportuna con l’obiettivo di far partecipare questo bene prezioso all’intera collettività.

 

Così, in chiusura della tavola rotonda “Quale destino per il Foro Boario di Padova: il riuso del Foro Boario di Corso Australia e l’opera di Giuseppe Davanzo” tenutasi a maggio a Padova presso l’Accademia Galileiana sotto la presidenza di Oddone Longo, e per iniziativa di Paolo Pavan, ho lanciato qualche idea, che succintamente ripropongo sotto forma di lettera aperta.

 

Rispetto alle molte ipotesi emerse in questi anni, a me sembra che questa “Cattedrale” possa e debba diventare parte integrante della città, e da questa percepita allo stesso modo di Prato della Valle o di Pontecorvo (le distanze del centro non sono poi così dissimili: 1 Km e mezzo all’incirca come rilevato dall’arch. Bepi Contin).

 

Ciò implicherebbe un connettore, sia viario che percettivo, capace di oltrepassare le barriere urbanistiche (soprattutto la ferrovia) che permetterebbe di migliorare l’accessibilità e la visibilità del manufatto (nei suoi significativi rapporti spaziali di pieno/vuoto).

 

Questa riappropriazione alla città, rimetterebbe in vita, quale propaggine delle antiche mura veneziane, un intero quartiere ora confinato a nord dalla ferrovia che, non dimentichiamo, rappresenta ancor oggi una vera e propria ferita nel tessuto urbano che dura da oltre un secolo e mezzo.

 

Non volendo (ma è proprio così impossibile?) pensare a ciò che in altre città italiane coraggiosamente è stato fatto ovvero l’interramento della ferrovia, almeno se ne copra l’area costruendo una nuova “piazza urbana” ove far confluire funzioni anche ludiche, vissute quale luogo di incontro e di scambio di socialità condivisa, per l’accesso al nuovo luogo reidentificato per se, quale museo di se stesso e punto di riferimento dell’architettura contemporanea di Padova e del Veneto.

 

Quale modo migliore per declinare questa idea di identificare un percorso di architettura contemporanea che vede il proprio inizio all’interno dell’opera “viva”? Ciò quanto meno nell’immaginario collettivo degli addetti ai lavori, ancorché la sua lenta agonia appaia al cittadino comune come il segno dell’incultura praticata da un mondo più volto al costruire – spesso male – che al mantenere!

 

Un centro museale dell’architettura contemporanea (anche nel suo divenire pseudo ipertecnologico). Un DARC (Direzione generale per l’Architettura e l’Arte Contemporanea) che apra una potente appendice da Roma al Veneto. Un luogo ove, nella concretezza del fare, si mostrano gli oggetti e la loro vita.

 

Utopia? Non credo! Con l’Expo 2015 Milano sarà il centro di un sistema multipolare che vedrà sicuramente Venezia e il Veneto molto presenti. Cosicchè la proposta immediata di questa idea va portata al più presto nella sede decisionale supportata da Comuni e Province, con in testa la Regione Veneto. Idea da condividere, operativamente, con il mondo della produzione: Industria, Artigianato, Professioni, ecc. Spinta concreta all’essere noi stessi, con la nostra cultura e l’ingegno che ne ha contraddistinto il vissuto e all’insegna della Tutela e della Valorizzazione di luoghi e oggetti di cui noi tutti dobbiamo, idealmente ed emotivamente, riappropriarci.

 

Proviamoci! Attiviamo iniziative didattiche ad hoc: workshop intensivi, laboratori d’anno e tesi di laurea, applicazioni nei master, tesi di dottorato. Facciamone esemplificazione operativa nei corsi di istruzione permanente, iniziative in tal senso sono già programmate in varie sedi universitarie. Si tratta di lavorare insieme, per fare sistema e presentarci unitariamente al tavolo decisionale. Forse stavolta non serve andare a Roma con il cappello in mano!

 

Ma, ove tutto ciò si rivelasse impraticabile, debbo confessare che, provocatoriamente, pur di salvare l’oggetto, non escluderei a priori l’ipotesi di chiedere a qualche sceicco arabo di “adottare” il monumento, adibendolo a luogo di culto, della pace multietnica e multi religiosa: quasi una testimonianza che l’odio tra le popolazioni non è così diffuso come si pensa, mentre chi ne fomenta la pratica è, spesso, proprio ai vertici governativi per motivi ben noti: l’ingordigia di potere.

 

Dunque non più un Foro Boario ma un Foro di romana memoria, l’incontro tra popoli e civiltà tra culture certo diverse, ma tutte unite attorno all’Uomo.

 

Per adesioni mandare un’e-mail a: forum_padova@libero.it con indicati nome, cognome e professione.

 

Enzo Siviero – Vice Presidente Consiglio Universitario Nazionale