La perequazione urbanistica alla prova dei fatti

La perequazione urbanistica alla prova dei fatti
Quando l’attuale Giunta Comunale approvò, ad inizio mandato, la Variante di PRG ai Servizi (una vera e propria Variante Generale al Piano Regolatore, anche se così non venne definita), per giustificare i milioni di metri cubi di nuova cementificazione previsti nei residui cunei verdi e spazi liberi della città, assessori e tecnici dell’amministrazione sostennero che i nuovi meccanismi della “perequazione urbanistica” introdotti dalla Variante avrebbero assicurato – quale contropartita delle nuove volumetrie edificabili concesse ai privati – nuovi importanti servizi urbani e spazi verdi non altrimenti realizzabili per carenza di fondi di bilancio.
La Variante ha ora concluso il suo iter procedurale ed è divenuta operativa. I proprietari privati non hanno naturalmente perso tempo e stanno trasmettendo al Settore Pianificazione Urbanistica le loro richieste di urbanizzazione e lottizzazione delle aree.
I primi piani urbanistici attuativi sottoposti all’esame della Commissione Urbanistica sono localizzati a Ponte di Brenta e Montà.
Si tratta di casi estremamente significativi in quanto rendono chiaro anche ai non “addetti ai lavori” quanto marginale sia – nella concreta applicazione dei meccanismi perequativi adottati per la nostra città – l’interesse pubblico rispetto agli interessi privati. Nel caso di Ponte di Brenta l’intervento proposto unifica le aree di perequazione ambientale con alcune aree di “tutela dello stato di fatto” (ex serre condonate, che si trasformano in edilizia residenziale): un ambito decisamente infelice – almeno per chi vi andrà ad abitare – in quanto inserito in una specie di “triangolo della morte” delimitato a sud dall’Autostrada Venezia-Brescia, ad est da uno svincolo della stessa autostrada e ad ovest dalla trafficatissima via San Marco. Benché a suo tempo l’avessimo contestato con apposita Osservazione (puntualmente respinta), la Variante estende l’area di perequazione ambientale (ai fini del calcolo della volumetria edilizia realizzabile nel lotto) anche alle fasce di rispetto autostradale, per legge inedificabili in quanto passibili di futuri ampliamenti. Ovviamente sono proprio queste aree marginali quelle che il Piano di lottizzazione presentato prevede di cedere al Comune a beneficio della collettività, mentre la restante parte del lotto verrà edificata e gli appartamenti posti in vendita, pur in presenza di un tasso d’inquinamento ambientale che è facile prevedere avrà devastanti effetti sulla salute di chi vi andrà ad abitare.
Anche a Montà una delle due lottizzazioni previste è posta nelle immediate vicinanze della tangenziale ovest di Padova e, sarà un caso, proprio in prossimità del cavalcavia è situata l’area ceduta per un intervento di edilizia residenziale pubblica. La seconda lottizzazione è in posizione urbanistica più felice, ma le aree da cedere al Comune sono in larga parte occupate da due vie di accesso alle abitazioni private e da parcheggi, che racchiudono un piccolo fazzoletto di verde di uso pubblico (?). In questo caso (ma sembra che situazioni simili caratterizzeranno molti dei piani attuativi delle zone di perequazione) la cubatura consentita dalla perequazione (indice 0,5 mc/mq) viene raddoppiata grazie alla inclusione nel piano di tutta una serie di piccole strisce marginali di aree con teorica destinazione a “zona residenziale di completamento” (indice 2 mc/mq), di fatto in precedenza inutilizzabili date le loro troppo ridotte dimensioni.
Ritorneremo sull’argomento, anche perché già stanno circolando le prime ipotesi di urbanizzazione e lottizzazione di alcune grandi aree strategiche per il sistema del verde urbano e per gli equilibri ecologici della nostra città (Parco Iris e Basso Isonzo); certo è che le regole perequative previste dalla Variante, non inquadrate in una visione strategica dei destini della città, sembrano ancora una volta tornar utili alla sola speculazione fondiaria ed edilizia senza visibili positivi effetti per la collettività.
C’erano alternative? E che cosa è ancora possibile fare?
Di alternative – come abbiamo sostenuto in passato – ve ne erano sicuramente, anche perché – contrariamente a quanto qualcuno afferma – nella proprietà fondiaria non è affatto implicito lo jus aedificandi (diritto ad edificare). Per il prossimo futuro, nell’ambito del PAT – Piano di Assetto Territoriale che si sta predisponendo, è ad esempio possibile utilizzare lo strumento della “compensazione urbanistica” previsto dalla nuova legge regionale o, ancor meglio come già hanno fatto alcuni comuni, delineare dei comparti di perequazione non unitari ma ad “arcipelago” che escludano l’edificazione delle aree a più elevata valenza ambientale e consentano la concentrazione delle relative volumetrie oggi assentite in altri siti di proprietà privata o pubblica.

Sergio Lironi, presidente Legambiente Padova