Gli episodi di violenza omicida di cui sono state vittime alcune donne straniere nei giorni scorsi, sono legati da un filo comune capace di superare senza problemi le differenze culturali: il dominio patriarcale sulle donne, sul loro corpo, i loro desideri la loro volontà. Non si può ovviamente azzerare le differenze tra i vari casi, ma ricordo che a giugno ci fu una manifestazione davanti al parlamento per sottolineare la drammaticità della situazione di violenza a cui troppe donne sono quotidianamente sottoposte all’interno della famiglia e l’aumento dei casi di “femminicidio” nel nostro Paese ad opera di mariti, padri, conviventi, fratelli italianissimi e, d’ufficio, cattolicissimi.
Proprio per la gravità di questi problemi e la loro complessità trovo penose le polemiche, spesso volgari e sempre strumentali, riferite ai diritti di cittadinanza per le/gli stranieri, ma bisogna essere in grado di andare oltre una tolleranza interculturale che rischia di farci chiudere occhi e orecchie:
– non ci sono tradizioni rispettabili se queste implicano il calpestare i diritti individuali fondamentali: vita e autodeterminazione innanzitutto;
– le ingerenze religiose nelle scelte individuali vanno rifiutate con giusta indignazione e decisione sia quando provengono dal papato che da qualsiasi altra religione: non ci possiamo fermare davanti all’alibi dell’altrui tradizione.
C’è uno scarto enorme tra i problemi che abbiamo davanti a noi e la nostra capacità di affrontarli. Dobbiamo, con umiltà e determinazione, chiederci innanzi tutto come ricostruire una capacità di ascolto, comprensione e dialogo tra donne. Parliamo spesso di costruire ponti, della capacità di intrecciare reti di socializzazione vera tra donne di generazioni e culture diverse: è una sfida che noi donne, e credo solo noi, possiamo proporci proprio perché in questo modo facciamo emergere con chiarezza la vergogna del dominio patriarcale che opprime fino ad uccidere donne apparentemente diversissime tra loro per condizione sociale, economica, di provenienza geografica e culturale,e che dà a questa violenza nomi via via diversi: onore, tradizione, gelosia, possesso, amore, religione, morale. Anche la nostra libertà e dignità, conquistata in decenni di azioni e battaglie politiche in nome dell’autodeteminazione delle donne, viene indebolita, se accanto a noi vivono donne che non pos sono scegliere di affermare i nostri stessi diritti.
Se a tutti è chiaro che il lavoro nero, precario è un male non solo per chi subisce quelle condizioni ma per tutti perché indebolisce i diritti di tutti i lavoratori, deve essere altrettanto chiaro che la mancanza di libertà e diritti per le donne immigrate rischia di minare anche i nostri diritti e libertà. L’affermarsi delle religioni come parametri del confronto tra popoli, quello che chiamiamo per comodità il fondamentalismo cristiano o islamico che sia, ha portato nel mondo ad una svolta conservatrice che colpisce per primi, rimettendoli in discussione in modo più o meno esplicito, conquiste che davamo per assodate e nel nostro Paese ad una ingerenza impensabile anche solo alcuni anni fa, della chiesa cattolica (dalla legge 40, alla ricerca sulle staminali, ai PACS, alla laicità della scuola).
La Risoluzione n°1464 Donne e religione in Europa adottata dal Consiglio d’Europa nell’ottobre 2005 individua nelle religioni un fenomeno crescente e un rischio di violazione dei diritti umani delle donne. Vi si legge infatti che “incombe agli Stati membri del Consiglio d’Europa proteggere le donne dalla violazione dei loro diritti in nome della religione” oltre che “lottare contro ogni violazione dei diritti delle donne all’integrità fisica, alla libertà di circolazione e alla libera scelta del partner.”
Ci sono obbiettivi che possono e debbono diventare prioritari nell’agenda dei Governi nazionale e locale:
– recepire quanto prima la Risoluzione 1464/2005 del Consiglio d’Europa
– rivedere la legge contro la violenza sessuale per far sì che venga considerata un’aggravante se questa si verifica all’interno delle mura domestiche e nella relazione tra coniugi o parenti;
– costruire o consolidare reti pubbliche di tutela (centri di ascolto, numeri verdi, case per donne maltrattate;
– considerare il sequestro dei documenti come un reato collegato al traffico di persone;
– avviare con decisione una grande iniziativa per l’alfabetizzazione alla lingua italiana e per la formazione alla cittadinanza che veda coinvolta e protagonista la scuola pubblica e laica del nostro Paese, attraverso il potenziamento della rete dei Centri territoriali di formazione per gli adulti e la riscoperta e valorizzazione di quel formidabile strumento che furono le “150 ore”.
Proprio per la gravità di questi problemi e la loro complessità trovo penose le polemiche, spesso volgari e sempre strumentali, riferite ai diritti di cittadinanza per le/gli stranieri, ma bisogna essere in grado di andare oltre una tolleranza interculturale che rischia di farci chiudere occhi e orecchie:
– non ci sono tradizioni rispettabili se queste implicano il calpestare i diritti individuali fondamentali: vita e autodeterminazione innanzitutto;
– le ingerenze religiose nelle scelte individuali vanno rifiutate con giusta indignazione e decisione sia quando provengono dal papato che da qualsiasi altra religione: non ci possiamo fermare davanti all’alibi dell’altrui tradizione.
C’è uno scarto enorme tra i problemi che abbiamo davanti a noi e la nostra capacità di affrontarli. Dobbiamo, con umiltà e determinazione, chiederci innanzi tutto come ricostruire una capacità di ascolto, comprensione e dialogo tra donne. Parliamo spesso di costruire ponti, della capacità di intrecciare reti di socializzazione vera tra donne di generazioni e culture diverse: è una sfida che noi donne, e credo solo noi, possiamo proporci proprio perché in questo modo facciamo emergere con chiarezza la vergogna del dominio patriarcale che opprime fino ad uccidere donne apparentemente diversissime tra loro per condizione sociale, economica, di provenienza geografica e culturale,e che dà a questa violenza nomi via via diversi: onore, tradizione, gelosia, possesso, amore, religione, morale. Anche la nostra libertà e dignità, conquistata in decenni di azioni e battaglie politiche in nome dell’autodeteminazione delle donne, viene indebolita, se accanto a noi vivono donne che non pos sono scegliere di affermare i nostri stessi diritti.
Se a tutti è chiaro che il lavoro nero, precario è un male non solo per chi subisce quelle condizioni ma per tutti perché indebolisce i diritti di tutti i lavoratori, deve essere altrettanto chiaro che la mancanza di libertà e diritti per le donne immigrate rischia di minare anche i nostri diritti e libertà. L’affermarsi delle religioni come parametri del confronto tra popoli, quello che chiamiamo per comodità il fondamentalismo cristiano o islamico che sia, ha portato nel mondo ad una svolta conservatrice che colpisce per primi, rimettendoli in discussione in modo più o meno esplicito, conquiste che davamo per assodate e nel nostro Paese ad una ingerenza impensabile anche solo alcuni anni fa, della chiesa cattolica (dalla legge 40, alla ricerca sulle staminali, ai PACS, alla laicità della scuola).
La Risoluzione n°1464 Donne e religione in Europa adottata dal Consiglio d’Europa nell’ottobre 2005 individua nelle religioni un fenomeno crescente e un rischio di violazione dei diritti umani delle donne. Vi si legge infatti che “incombe agli Stati membri del Consiglio d’Europa proteggere le donne dalla violazione dei loro diritti in nome della religione” oltre che “lottare contro ogni violazione dei diritti delle donne all’integrità fisica, alla libertà di circolazione e alla libera scelta del partner.”
Ci sono obbiettivi che possono e debbono diventare prioritari nell’agenda dei Governi nazionale e locale:
– recepire quanto prima la Risoluzione 1464/2005 del Consiglio d’Europa
– rivedere la legge contro la violenza sessuale per far sì che venga considerata un’aggravante se questa si verifica all’interno delle mura domestiche e nella relazione tra coniugi o parenti;
– costruire o consolidare reti pubbliche di tutela (centri di ascolto, numeri verdi, case per donne maltrattate;
– considerare il sequestro dei documenti come un reato collegato al traffico di persone;
– avviare con decisione una grande iniziativa per l’alfabetizzazione alla lingua italiana e per la formazione alla cittadinanza che veda coinvolta e protagonista la scuola pubblica e laica del nostro Paese, attraverso il potenziamento della rete dei Centri territoriali di formazione per gli adulti e la riscoperta e valorizzazione di quel formidabile strumento che furono le “150 ore”.
Giuliana Beltrame