Alla sua XI edizione riapre dal 4 settembre al 23 novembre la Mostra di Architettura alla Biennale di Venezia, con un numero record di 56 Partecipazioni nazionali, dislocate nel consueto spazio dei Padiglioni storici dei Giardini, dell’Arsenale e nel centro storico di Venezia, e 10 eventi collaterali proposti da enti e istituzioni internazionali.
Rivoluzionarie le novità in campo quest’anno; visionarietà e sperimentalismo sono gli strumenti dell’agire, atti a realizzare qualcosa di nuovo che va oltre il mero costruito. “Architecture Beyond Building” è un’architettura che si emancipa dalla tecnica, che non intende rinunciare al suo elitario spazio essenziale, effimero e superfluo allo stesso tempo, cioè all’arte. Una presa di posizione anarchica, ai limiti dell’azzardo forse, ma è questo un chiaro sintomo di ribellione all’asfissiante azione che esercita la norma sul desiderio di pensare.
Anni di smania edilizia hanno portato alla creazione di sterminate megalopoli, caotiche città e orride periferie, ed oggi corre il sospetto che si sia giunti ad esaurimento delle possibilità costruttive e che quindi l’architettura sia arrivata ad una fase di compimento di se stessa. Un habitat verde sempre più deturpato dall’insorgere di geografie smarrite fatte di “non luoghi”, rendono forte la necessità di fermarsi e guardarsi intorno. Entrati in una fase, per così dire, di “post-architettura”, si intende operare criticamente sulla sedimentazione di una gamma di possibilità fin ora prodotte. Prevale dunque l’aspetto riflessivo di un pensiero sull’architettura piuttosto che quello monumentale delle mastodontiche creazioni.
Spiega Aaron Bretsky, l’illustre direttore dell’edizione 2008 della mostra, “l’architettura non è il costruire […] è il modo di pensare e di parlare sugli edifici”. L’architettura cioè, sempre più soffocata da normative di sicurezza, regole finanziarie, misure prestabilite che impongono standard costruttivi, si riappropria del suo statuto di arte, più che di tecnica, e stanca di dover sottostare a quelle regole che la riducono a produrre meri oggetti in serie, riscopre la centralità del fenomeno artistico del “comporre”, come un ‘fare’ che corteggia la possibilità di rimanere in primo piano rispetto al prodotto fisico che lascia. “L’atto del costruire produce oggetti-edifici, ma l’architettura è qualcosa d’altro”, aggiunge Aron Bretsky; deve uscire dall’anonimato, pare dire, ed abituare lo spettatore ad un’operazione mentale necessaria a vedere l’opera come occasione di godimento. Sperimentalismo ed idealismo, suggestioni romantiche e visoni oniriche sull’orlo dell’utopia, rianimano l’essenza artistica dell’architettura che anarchicamente si libera delle atrofizzanti normative, per ritornare a “pensare” se stessa, o meglio a “sognare” se stessa, verso una ricerca di senso dell’abitare il mondo moderno, per sentirsi veramente a casa in esso. Questo è appunto l’architettura, conclude Bretsky: “ciò che può farci sentire a casa nel mondo”; più che l’edificio in sé, “il desiderio di costruirci un mondo migliore”, e l’edificio è soltanto ciò che rimane di questo desiderio.
In stretto rapporto con la rinnovata prospettiva artistica, è il concetto, stavolta più pragmatico, di funzionalità ed essenzialità dell’opera. Si profila di straordinaria urgenza sociale ed ambientale un intervento urbanistico che restituisca ai cittadini dei luoghi ordinati e vivibili. Di qui l’icastico slogan che intitola la mostra: “Out There: Architecture Beyond Building”, cioè “…al di là dell’edificio” in se stesso: un modo di costruire in armonia con l’ambiente circostante in cui si opera. Attenzione che ridefinisce i confini dell’architettura tradizionale, andando al recupero del senso globale dell’abitare, come modo di sentirsi abitanti del mondo e non di tristi realtà decontestualizzate.
Quindi se da una parte si rivendica l’effimero aspetto del bello artistico con le sue seducenti proposte ideali, dall’altra incalza la necessità di trovare soluzioni concrete per un armonioso rapporto tra uomo e ambiente in cui vive. Può dirsi riuscita la mostra nel suo ambizioso progetto se l’effimerità del bello artistico è conciliabile col funzionale, nel rispetto di ecologia ed ambiente.
Le dichiarazioni sono tratte da www.repubblica.it.
A cura di Andrea Volpicelli