Povera città  che non guarda alla sua storia

Percorrendo via Giotto, passeggiando “lungo il Piovego” che da ponte Garibaldi porta verso viale Codalunga, dopo aver passato il monumento di Libeskind in memoria dell’attentato alle torri gemelle ed il ponte del Carmine, si nota una staccionata posta sopra il muretto che delimita il marciapiede.

Se si sale sul muretto e si traguarda oltre la staccionata si può notare un edificio in costruzione, incastrato tra un condominio di via Trieste e l’idrovora che si affaccia sul Piovego, a meno di 50 metri dal canale. Si tratta di un anonimo edificio in cemento, formato da un piano interrato e due piani fuori terra, che dovrà ospitare un parcheggio privato da quasi sessanta posti auto. Se si potesse, però, guardare al di sotto del muretto, si potrebbe notare che lo stesso si eleva sopra quello che rimane di un tratto delle mura cinquecentesche.

Lo scempio delle mura per realizzare la discutibile passeggiata è stato realizzato all’inizio del ‘900. Già allora questa povera città, sedotta da un falso concetto di modernità, non guardava alla sua storia e distruggeva i suoi monumenti. I guasti operati sotto il regno d’Italia -soprattutto nel ventennio fascista- e nel dopoguerra hanno lasciato ferite profonde nel tessuto storico di Padova. Ci si aspetterebbe che, passato l’impeto della cieca ricostruzione e dellaincongrua trasformazione della città antica, risultasse prevalente il sentimento del recupero delle sue testimonianze storiche. Non è così.

Anche nel modesto caso che stiamo esaminando il fattore che prevale nella scelta del riuso del territorio costruito è il profitto legato alla rendita fondiaria. E pensare che l’ambito dove è in costruzione il garage da 60 auto era soggetto ad un piano di recupero che avrebbe dovuto tenere conto delle adiacenti emergenze storiche. Di un piano cioè, soggetto all’approvazione del consiglio comunale, che avrebbe dovuto consentire il recupero dei fatiscenti manufatti preesistenti in funzione della peculiarità dei luoghi. Il consiglio comunale, invece, non è riuscito ad approvare niente di meglio che un’autorimessa, che non ha alcuna valenza architettonica e che si pone come elemento del tutto estraneo al contesto storico che si sarebbe dovuto invece “recuperare”. È mancata una sufficiente capacità di mediazione e di persua sione nei confronti della proprietà, in grado di esaltare gli aspetti qualitativi dell’intervento rispetto a quelli meramente economici. Sicuramente il contesto edilizio circostante, costituito da brutti edifici del dopoguerra, non ha stimolato un’attenta progettazione, ma una simile pochezza lascia disarmati. Non si può, a questo punto, non denunciare il deficit culturale in materia urbanistica e di ricostruzione del paesaggio urbano che caratterizza questa città, che pur si vanta di avere una gloriosa università degli studi.

Lorenzo Cabrelle – Direttivo Legambiente Padova