Prima dell’intervento vergognoso, il bastione di S. Giustina conservava intatta una parte del terrapieno, al di sotto del quale vi sono due ampie casematte o piazzeforti per la collocazione dell’artiglieria. Le due casematte o piazzeforti non erano collegate fra di loro.
I recenti lavori, ancora in corso, hanno portato alla chiusura degli originari accessi alle due casematte o piazzeforti ed alla costruzione di una orrenda rampa di cemento, assolutamente inutile, che incuneandosi al posto del terrapieno eliminato, dà accesso agli spazi sotterranei attraverso delle nuove aperture. Si ritiene di dover segnalare alla cittadinanza, agli studiosi, al Consiglio ed alla Giunta comunale alcune gravi questioni.
Anzitutto si rileva che è stata compromessa la possibilità di lettura, sia storica che figurativa sia del fronte del bastione mediante la cancellazione della probabile incamiciatura ottocentesca che del terrapieno.
Sul bastione è stato realizzato un "merlone" che, oltre a falsare la percezione del fronte stesso del bastione proponendo un inedito rapporto tra le altezze del parapetto e del terrapieno, pone seri dubbi sulla sua liceità, dato che, almeno fino al 1546, non risulta sia mai stato costruito, come attesta una relazione firmata da Michele Sanmicheli e riportata da G. Rusconi nel suo testo "Le mura di Padova". La realizzazione della nuova struttura funzionale ha inoltre comportato la rimozione di una consistente parte del terrapieno in corrispondenza della gola del bastione.
La gravità di questo intervento risalta se si considera l’oramai limitata presenza dei terrapieni che, in un passato ancora recente, sono stati sistematicamente asportati.
Inoltre la struttura in cemento armato (rampa), che realizza il "nuovo sistema di accessi", ha alterato gli ambienti ipogei del bastione rendendo comunicanti le due casematte (che erano indipendenti), senza peraltro favorire la conoscenza del sistema fortificato stesso, in quanto le originarie gallerie di accesso intercettano, a nostro avviso, i ripidi pendii in terra armata realizzati a fianco dei due nuovi ingressi.
Si pongono infine gravi riserve sull’ opportunità di utilizzare gabbioni metallici, geostuoie e cemento armato, ed in tale non indifferente misura, su di un monumento che non aveva manifestato nessuna particolare patologia né di ordine statico, né di ordine materico.
L’articolo 5 della Carta di Venezia (1964) afferma: “La conservazione dei monumenti è sempre favorita dalla loro utilizzazione in funzioni utili alla società: una tale destinazione è augurabile ma non deve alterare la distribuzione e l’aspetto dell’edificio. Gli adattamenti pretesi dall’evoluzione degli usi e dei costumi devono dunque essere contenuti entro questi limiti”.
L’articolo 9 afferma che lo scopo del restauro è "di conservare e di rivelare i valori formali e storici del monumento [fondandosi] sul rispetto della sostanza antica e delle documentazioni autentiche." Si chiede il rispetto di tali articoli e la loro applicazione anche al bastione di Santa Giustina. Si ritiene che l’intervento, definito di "Restauro e Riqualificazione del Bastione S. Giustina" abbia tradito le indicazioni date dalla disciplina del restauro avendo travisato, cancellato e falsato i dati storici.
Ai fini di bloccare lo scempio in corso al bastione S. Giustina e di ridurne i danni, si pone pertanto un problema metodologico e che richiede di conseguenza una approfondita analisi in un ambito di livello culturale e scientifico adeguato, quale una commissione, totalmente estranea alle parti in causa, e composta da esperti quali: G. Carbonara, L. Puppi ed altri.
La colata di cemento dei sigg. C. Modena e M. D’Ambra contro il bastione di S. Giustina è un grave attentato al monumento e costituisce un grave precedente per ulteriori interventi nella cerchia muraria cinquecentesca di Padova.