Analizzando sommariamente i dati che da più parti (ZIP, Unindustria, PTCP, VAS) pervengono sui sistemi produttivi comunale e provinciale, si leggono i seguenti numeri:
– a livello comunale (ZIP), la domanda di insediamenti produttivi è di circa 650.000 mq, contro un’offerta di circa 250.000 mq;
– a livello provinciale, la domanda, nel breve periodo, è di circa 3 milioni di mq, a fronte di un’offerta di circa 10 milioni di mq, di cui più di 2 milioni all’interno dell’area metropolitana.
Anche se è stato rilevato che, spesso, la distribuzione territoriale dell’offerta non corrisponde a quella della domanda, la conclusione che si trae dai dati testé riportati è che non servono nuove superfici da destinare agli insediamenti produttivi, ma che è sufficiente razionalizzare quanto già previsto dalla strumentazione urbanistica esistente. Questo compito, però, non può essere demandato ai singoli comuni. È indispensabile che la pianificazione degli insediamenti economici sia realizzata a scala provinciale e che la governance del sistema sia estesa ad ambiti territoriali vasti.
Per il comune di Padova l’ambito territoriale, all’interno del quale definire il sistema produttivo, non può che coincidere con la città metropolitana. Il futuro della ZIP deve essere, quindi, definito non a livello di PAT ma a livello di PATI. È poi necessario che la governance dello sviluppo e della trasformazione del sistema produttivo metropolitano sia affidata ad un unico ente di gestione, con ampi poteri decisionali in un quadro, però, di direttive e strategie politiche chiaramente delineate. Solo così sarà possibile rilocalizzare le imprese nel territorio secondo un disegno che dovrà privilegiare le aggregazioni secondo poli produttivi ed ambiti ad elevata specializzazione, che siano in grado di attrarre le aziende interessate ad agire sinergicamente con le specializzazioni insediate.
A monte di tutto questo va, però, sciolto il nodo su quale debba essere il destino dalla ZIP all’interno del contesto di trasformazioni che caratterizza il mercato globale. Come da più parti rilevato, non è pensabile di poter reggere la competizione insistendo sul mantenimento, e sull’eventuale sviluppo, del sistema industriale in atto. Va, quindi, pensata la riconversione dell’industria padovana verso settori ad alto valore aggiunto, quali le industrie ad alta tecnologia ed il terziario avanzato, strettamente connessi con istituti di ricerca pubblica e privata e con un sistema di servizi alla persona ed alle imprese. Le imprese high tech, peraltro, richiedono volumi minori rispetto a quelli esistenti, per cui la riconversione potrà avvenire senza necessità di un ulteriore consumo di territorio, anzi si potrà realizzare un sensibile recupero ambientale, dando origine ad una zona industriale realmente sostenibile, con caratteristiche comparabili con quelle urbane.
Se questo scenario è senz’altro prefigurabile per la vecchia zona industriale, qualche perplessità rimane per la zona industriale sud, dove deve essere valutata la compatibilità con l’eventuale mantenimento e sviluppo della parte destinata alla logistica. Il polo della logistica padovana va esaminato con le strategie a scala regionale e con il sistema dei trasporti, che deve privilegiare i sistemi alternativi rispetto al trasporto su gomma. In particolare si deve puntare sul trasporto su ferro, senza escludere l’apporto di quello su acqua, che deve a sua volta fare parte di un sistema a scala nazionale (le cosiddette “autostrade del mare”).
Personalmente ritengo che, per motivi prevalentemente ambientali, a fronte dell’attuale sistema infrastrutturale, il sistema della logistica, qualora ritenuto compatibile con la riconversione della ZIP in Polo Scientifico e Tecnologico, non debba essere ulteriormente ampliato. Questo in quanto lo spostamento delle merci continua ad essere orientato, come dimostra la volontà di realizzare una camionabile a fianco del tracciato dell’idrovia, verso il trasporto su gomma che è una delle maggiori cause dell’inquinamento dell’aria del nostro territorio.
Ritornando alla razionalizzazione delle aree produttive della città metropolitana, va detto che devono essere conferiti all’ente di gestione, gli strumenti per potere selezionare le imprese da insediare e da rilocalizzare nel territorio, secondo le nuove finalità e specializzazioni delle singole aree industriali. A questo scopo è necessario che possa essere esercitato il controllo delle destinazioni d’uso anche dopo l’eventuale alienazione dei terreni. A tal proposito la materia dovrà essere sufficientemente disciplinata a livello di PAT e di PATI. Si fa tuttavia presente che il controllo del cambio delle destinazioni d’uso sarebbe già possibile se la Regione avesse disciplinato, come previsto dall’art. 10, comma 2, del Testo Unico dell’Edilizia, di cui al D.P.R. 380 del 2001, quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso degli immobili o di loro parti, sia da assoggettare a permesso di costruire o a denuncia di inizio attività. Sarebbe opport uno che i comuni dell’area metropolitana sollecitassero la Regione a colmare il vuoto normativo, al fine di consentire, soprattutto nelle aree industriali, la corretta gestione dell’uso degli immobili ed evitare trasformazioni indesiderate in grado di pregiudicare gli obiettivi strategici della programmazione delle aree produttive.
Lorenzo Cabrelle, Legambiente Padova